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La Repubblica / Viaggi

Vivere Slow ... I vigneti dell’Etna... Fantastici vini figli di un territorio speciale. I migliori vengono prodotti nel versante nord tra Randazzo e Passopisciaro. Provateli... Per gli abitanti è “Iddu”. E se lo indichi chiamandolo Etna, capiscono subito che di questi luoghi ne sai poco o niente. Per loro il vulcano non è una semplice montagna, è qualcosa di più. Un’entità soprannaturale che nei secoli ha modificato la loro vita. Qui non è l’uomo che plasma la natura a suo piacimento, ma è l’esatto opposto. Basta fare una circumnavigazione del cono per capirlo. Le “sciare” - così sono chiamate in dialetto le colate - sono costellate di cappelle votive che indicano il punto esatto dove la lava si è fermata risparmiando terreni, case e raccolti. Si racconta ad esempio di quella del 1981 che in una sola notte è arrivata a lambire l’abitato di Randazzo. La terra è incontinuo subbuglio, le piccole scosse sismiche si susseguono con una tale costanza che, dopo averne sentita una, se lo fai notare alla gente del posto ti guardano con quel sorrisetto sarcastico che ti fa sentire l’ultimo arrivato. Ma qui sull’Etna si viene non solo per fare belle passeggiate e osservare una natura forte e indomabile. Si può e si deve venire soprattutto per bere i fantastici vini che da qualche anno si sono iniziati a valorizzare. Ci fu un tempo in cui qui sull’Etna c’erano più di cinquantamila ettari vitati. Per capirne l’enormità, basti pensare che oggi tutto il Piemonte vitivinicolo può contare su una superficie di poco superiore. Quando la piaga della fillossera mise in ginocchio la viticoltura mondiale sull’Etna iniziò un nuovo e importantissimo business. Si notò come quell’infido insetto non riuscisse ad attaccare le viti sul suolo vulcanico. Il mondo continuava ad aver sete di vino e di conseguenza iniziò una sorta di corsa all’oro e di nuovi impianti forzati alle pendici di “Iddu”. Il mosto che veniva vinificato in grandissimi palmenti - la cui visita da sola merita il viaggio - veniva portato a valle per essere imbarcato ed esportato in giro per il mondo. Il porto da cui partiva è Riposto, e tanta era la mole esportata che il vino dell’Etna cominciò a essere conosciuto come “vino di Riposto”. Quando si chiuse la parentesi della fillossera, la viticoltura sull’Etna perse la sua centralità e la sua indispensabiità. I costi di produzione erano alti perché si tratta di viticoltura di montagna, così come le rese per ettaro e quelle di vinificazione erano molto basse. In modo costante e inesorabile vennero abbandonati i vigneti. Questa decadenza continuò fino alla fine degli anni Ottanta, quando l’Italia iniziò a produrre più diffusamente vini di qualità. La cantina Benanti fu la prima a credere nella produzione sull’Etna e più tardi decisero di investire qui una miriade di altre cantine, riportando in auge la viticoltura alle falde del vulcano. I centri di maggiore importanza sono quelli di Randazzo e Passopisciaro (sui versante nord). Qui si sono concentrate le acquisizioni dei vecchi vigneti, che possono vantare piante centenarie su piede franco. Sono veri e propri monumenti della viticoltura italiana. Nella zona si possono ancora vedere e ammirare opere d’ingegneria millenaria, con perfetti muretti a secco e sistemi di canalizzazione delle acque. A fine maggio o a giugno si ha la fortuna di godere della fioritura della ginestra, che oltre a essere spettacolare per il giallo intenso dei suoi fiori, inonda le strade di un profumo dolce e inteso, che ricorda le note olfattive che si ritrovano negli splendidi bianchi a base del vitigno Carricante prodotti in questa terra meravigliosa.

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