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La Repubblica

Un sommelier per tutti i gusti è la carica dei "gastrocolti". C'è chi regala le lezioni agli amici, chi esibisce la sua competenza raffinata alle cene e al ristorante: è la nuova moda. Corsi per assaggiare non solo vino ma olio, caffè, cioccolata ... Negli ultimi mesi il numero di adepti è aumentato in modo esponenziale. L'iscrizione costa tra i 100 e i 400 Euro, la frequenza una o due volte la settimana ...

... Certo, le scuole di vino continuano a essere le più famose e frequentate. Ma non si vive di soli alcolici, e soprattutto non si può limitare la tavola all'esercizio del bicchiere. Così, a ruota dei sommelier, sono nate le categorie degli assaggiatori di oli e di formaggi, di miele e whisky, aceto balsamico e salumi, frutta e carne, giù giù fino all'acqua minerale e alla frutta: corsi che riempiono le aule improvvisate di enoteche, circoli privati, ristoranti, sedi aziendali. I criteri generali sono pressoché uguali per tutti: l'iscrizione costa tra i 100 e i 400 Euro, gli orari sono flessibili, la frequenza — mono o bisettimanale — non è obbligatoria ma fortemente consigliata. In quanto alla dotazione iniziale, è serissima: dispense, quaderno, schede di degustazione, più utensili specifici (bicchieri, boccali, tazzine ...). Il tutto si chiude dopo un tempo variabile (dalla manciata risicata di lezioni ai tre anni di frequenza) con una prova finale e conseguente attestato — o diploma — a seconda del livello della scuola frequentata. Il circolo vizioso acquisisce così un nuovo adepto: che alla prossima cena arriverà a casa vostra con un sacchetto di caffè sconosciuto, un formaggio dal nome impronunciabile, un panettone senza uguali. Da degustare in maniera colta insieme a voi: dimostrazione lampante che quella dei gastroignoranti è davvero una specie in via di estinzione ...

L'intervista a Piero Sardo di Slow Food: "Sapere di cibo ormai è chic"

Piero Sardo, una delle anime storiche di Slow Food, è il creatore del "Master of Food", una vera e propria scuola popolare del gusto, 20 corsi tematici dalla carne al pane, dagli infusi alle spezie. L'anno scorso, gli appuntamenti con i Master sono stati oltre 300, in 57 città italiane. Stiamo diventano un popolo di gastrocolti? «Andiamoci piano. Diciamo che tutto questo proliferare di corsi è un segnale molto positivo. Ma bisogna fare attenzione, perché a fronte di tutta questa domanda, non si abbassi il profilo dell'offerta». Pochi insegnanti all'altezza del cibo di cui parlano... «Chi deve formare i formatori? Non è una domanda oziosa, mi creda. Abbiamo tanto lottato per mettere in piedi un vero corso di laurea (l'Università di Enogastronomia di Pollenzo dovrebbe partire nell'autunno 2003, ndr), perché, finora, tutto è stato fatto in maniera abbastanza empirica: non bastano quattro viaggi in Borgogna per fare il docente di vino! In ogni caso, sempre meglio rivolgersi alle sigle ufficiali (Ais e Onav per il vino, Onaf per i formaggi, Mastri Oleari e Onaoo per l'olio, ndr), associazioni che hanno un certo pedigree». Avete individuato il popolo dei degustatori? «I livelli di fruitori sono tre: i professionisti della ristorazione, i consumatori gastroavvertiti, e chi pensa di poterne fare un mestiere. Penso per esempio agli addetti alla comunicazione, agli organizzatori di eventi, ai funzionari delle Pro Loco. Nel futuro prossimo, la domanda si farà sempre più attenta, e sarà sempre più difficile raccontar balle, senza essere scoperti». Saper degustare è diventato una moda. «Ormai, andare in un ristorante e non sapere nulla di vino o di formaggi o di oli è considerato un pubblico peccato. La cultura gastronomica fa status... Comunque meglio questo che l'orologio o il telefonino. Siamo in un passaggio epocale: una volta parlare di cibo era volgare, ora è un colto argomento di conversazione. Ho letto un'intervista a Tullio Gregory: un grande storico che parla di cucina, 20 anni fa era impensabile».

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