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La Repubblica

Il caso - La sfida di Australia e Sud Africa: i nostri vitigni per battere la concorrenza ... Il tema centrale fra i molti che si discuteranno al Vinitaly sta nella lettura dell´andamento dei mercati, delle tendenze, delle scelte dei produttori. Il mercato mondiale del vino non è brillante, per le stesse ragioni per cui segnano il passo le economie di tutti i paesi industrializzati. Possono comprendersi certe inquietudini dei produttori italiani: le condizioni climatiche hanno prodotto il taglio del 20% della produzione 2002 e delle vendite attese, inducendo a un aumento del 20% del prezzo per i vini da tavola e i doc dai prezzi più bassi, che rappresentano in quantità la colonna portante delle esportazioni italiane; la svalutazione del dollaro rispetto all´euro sta poi provocando un ulteriore aumento, intorno al 20%, dei prezzi dei nostri vini; meno colpiti sono i vini italiani che entrano nella categoria dei "vini di pregio" (quelli che gli statunitensi chiamano "premium wines", che si contrappongono ai "table wines") che rappresentano una quota importante. Il Cile denuncia una vistosissima sovrapproduzione, che induce una politica di prezzi al ribasso e spinge a politiche di mercato molto aggressive; l´Australia non è mai stata così agguerrita, con un´offerta intelligentemente segmentata; il Sud Africa ha le carte in regola per entrare nella fascia qualitativa media; l´export francese segna il passo e non retrocede solo grazie all´ottima ripresa dello Champagne; Mondavi in California licenzia il 10% degli addetti e va in rosso coi conti ... Oggi sono realtà imponenti Cile e Australia, crescono Sud Africa, Nuova Zelanda, Argentina; non sono nuovi ma pesano moltissimo California e Spagna. Con poche eccezioni (soprattutto in Spagna) la differenza fondamentale è che i vini di questi paesi sono di "stile internazionale", sono fatti con uve internazionali (chardonnay, cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot, syrah ...) e con tecniche standard molto ben affinate (a partire dal massiccio impiego della barrique), che dovrebbero supplire alle carenze di uve che vengono piantate e raccolte dappertutto, senza particolare riguardo alle differenze di un "terroir" o di un "microclima". È l´esatto contrario di quanto avviene per i grandi vini "della tradizione" che, anche quando sono modernissimi, recano inequivocabile l´impronta e il marchio d´origine: un ottimo syrah australiano è un ottimo syrah e basta e ne è irriconoscibile la provenienza, un grande Barolo, un grande Chambertin, un grande Paulliac Premier Cru non sono confondibili. E questo vale non solo per i vitigni "nobili", ma dovrà sempre più valere, per esempio in Italia, per i vitigni cosiddetti "autoctoni", quelli che abbiamo solo noi (per capirci: il sempre sottovalutato ma eccellente Pinot Grigio, Aglianico, Cortese, Dolcetto, Fiano, Inzolia, Negroamaro, Nero d´Avola, Primitivo, Refosco ...) e le cui potenzialità sono ancora tutte da valorizzare. Questi vini potranno essere la risposta intelligente anche se non sufficiente all´invasione dei "vini internazionali" di basso prezzo. Perché i "grandi", veri e assoluti, tali resteranno indipendentemente dalle crisi cicliche e sempre avranno mercato. Mentre sul "primo prezzo" tutti soffriranno e la competizione si sosterrà con vini "nuovi" fatti con uve "nuove" e non confrontandosi sul terreno, già scelto dagli altri, del "gusto internazionale".

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