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La Repubblica

IL punto - Vino, l´incubo del tempo scaduto. Uve al limite della disidratazione, viti assetate, picciòli lignificati. Partire è un obbligo: ma bisogna fare i conti con la qualità. Scatta la raccolta anticipata. E chi vuole aspettare rischia grosso.Nell´anno della grande siccità i produttori alle prese con la scelta più difficile
Se manca la giusta maturazione non c´è equilibrio tra zuccheri e acidi. Soffrono soprattutto le zone i cui disciplinari sconsigliano il ricorso all´irrigazione ... Cartolina dalla Franciacorta, all´alba di Ferragosto: strade deserte, un inizio di sole velato, le vigne percorse da un´attività anomala e febbrile. Le braccia di chi vendemmia, quando il termometro ha già passato abbondantemente i 30 gradi, sono per gran parte di africani. Gente abituata a lavorare col caldo, «ma anche loro devono fermarsi a mezzogiorno. Andare oltre significa rischiare la pelle. L´altro giorno un vignaiolo di qui ci è rimasto secco. Aveva sessant´anni». Aldo Pagnoni è il direttore commerciale di "Cavalleri", azienda-cult del pianeta bollicine. Mai come nelle vinicole, le distinzioni professionali vengono ingoiate dalla fame di braccia che la vendemmia suscita ogni anno: in vigna ci si va tutti, dal campesino importato al proprietario. A maggior ragione quest´anno, con questo caldo che non dà tregua alla campagna. Aspettare, in queste condizioni, è un disastro annunciato. Così, all´alba, tutti precettati tra i filari. Bruno Dotti, proprietario di una tra le piccole perle della zona, la "San Cristoforo", spiega bene il perché: «Siamo tra i fortunati, perché le nostre uve sono pronte. Ma se anche così non fosse, ormai il tempo è scaduto: i picciòli dei grappoli si sono lignificati, non c´è più passaggio nutrimento tra pianta e frutti. Quindi, o raccogli, e anche in fretta, o va tutto a male».
La vendemmia più estrema a memoria di vignaiolo, infatti, ha storie diverse da raccontare. E non tutte allegre. L´unico vero dato che tutto comprende, è l´obbligo di cominciare prima: dai tre, quattro giorni di anticipo in Sicilia alle due, tre settimane nelle vigne del nord.
L´ormai famoso «stress idrico» non è un´esclusiva della vite. Anzi: dicono gli esperti che tendenzialmente i cosiddetti vitigni autoctoni, se lasciati prosperare nelle loro terre di elezione, si rivelano forti e resistenti anche alla siccità. Di più: non avere acqua a disposizione obbliga la vite ad approfondire le radici, così da «pescare» anche sostanze preziose che altrimenti sarebbero inaccessibili. A soffrire, e molto, invece, sono i nuovi impianti. Soprattutto dove i disciplinari (cioè le regole per fare un certo vino di qualità) non prevedono irrigazioni di sorta.
In Piemonte, per esempio, si comincia a tremare. Ernesto Abbona, patron della gloriosa "Marchesi di Barolo", è di pessimo umore: «Per alcune uve siamo al limite della disidratazione: speravamo nello scorso week end, e invece non è caduta una goccia... La vendemmia di Dolcetto e Barbera è già abbastanza compromessa, perché non essendo ancora a giusta maturazione, non c´è equilibrio tra zuccheri e acidi. Se va avanti così, ci toccherà raccogliere entro fine mese, invece che il 10 di settembre. Per fortuna, il Nebbiolo (l´uva con cui si fa il Barolo, ndr) è tardivo e impiantato su tereni argillosi, che rilasciano malvolentieri l´acqua. Ma senza oasi, schiattano anche i cammelli...».
Due vendemmie in dodici mesi, l´una opposta all´altra: un anno a riempire le vigne di anti-muffa (tra cui il famigerato Mancozeb, ancora usatissimo, malgrado le chiarissime prove di cancerogenicità) per colpa delle piogge infinite, un anno a estirpare anche l´ultimo filo d´erba perché non sottagga nemmeno una goccia d´acqua alle viti assetate. L´anno scorso, un «diradamento» (selezione dei grappoli sulla pianta) dopo l´altro, per dare un minimo di qualità, mentre quest´anno si coccolano quei pochi grappoli dagli acini piccoli come fossero figli, riparati dalle foglie che dodici mesi fa si strappavano con rabbia per sottrarre umidità e regalare un raggio di sole in più.
Da una parte all´altra d´Italia, Baldo Palermo (tenuta di "Donna Fugata") racconta di una strepitosa vendemmia praticamente conclusa per i bianchi e pronta a cominciare tra i filari dei rossi. «Siamo fortunati: è piovuto sia in autunno sia in inverno, situazione che unita al caldo secco dell´estate ha garantito grado zuccherino e acidità alti. E quando il caldo è stato troppo abbiamo supportato le vigne con l´irrigazione a goccia. Senza quell´acqua, del resto, dalle nostre parti rischierebbero i vigneti stessi».
Ma l´intellighenzia del vino si interroga soprattutto su cosa succederà dopo i giorni della vendemmia. L´analisi di Donato Lanati, uno dei più bravi enologi italiani (tra i suoi clienti, Ceretto, Librandi, Rosa Bosco, Giovanni Conterno, Forte), è complessa: «Cominciamo dai profumi: la luce influisce sui profumi terziari, quelli che si sviluppano durante l´invecchiamento, mentre i profumi primari sono sensibili alle alte temperature. Quindi, quella specie di spremuta d´uva profumata che è il Moscato di Canelli rischia parte del suo fascino. Poi, quest´anno tutto risulta più concentrato: amaro e acido compresi: sarà importantissimo riuscire a mediare il più possibile tra maturità tecnologica (zuccheri e acidi), fenolica (antociani e tannini), aromatica (profumi primari e precursori dei terziari). Altro problema, la bassa acidità, che significa vini poco freschi e meno propensi all´invecchiamento. Dovranno essere bravi i produttori ad assemblare uve raccolte con maturazioni diverse, per bilanciare il deficit di acidità. Senza dimenticare lo spettro della "frutta cotta", come viene battezzato il sapore del vino prodotto da uve troppo mature».
Il tutto, in attesa del momento dei Grandi Rossi, ancora in fase di maturazione e al momento non a rischio di sete. Però, se avete sotto mano uno stregone doc, trovargli un lavoro sarà facilissimo: di questi tempi, una bella danza della pioggia, nelle vigne, non la disdegna nessuno. ( 3 - continua)

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