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La Repubblica

Ecco il vino buono che costa poco. Al Merano Wine Festival vicino alle eccellenze compaiono anche le retroguardie che non mancano di grinta e spessore. Il rapporto qualità-prezzo è sempre più al centro dell´attenzione. In Italia ci sono 24 milioni di enofili raffinatissimi e 18 di "semplici" bevitori. Le grandi firme delle bottiglie hanno capito che il mercato vuole pure etichette medie ... E venne il giorno dei vini a buon prezzo. Piacevoli e accessibili. Goderecci e pochissimo esclusivi. Corretti e a portata di mano (nel senso di portafoglio). Mai come quest´anno, la splendida bomboniera della Kurhaus, sede del Merano Wine Festival, ospita un evento a doppia valenza: cento vini da urlo, di quelli per cui gli intenditori si straccerebbero le vesti come adolescenti davanti a Keanu Reeves o Christina Aguilera, capaci di far impazzire le quotazioni alle aste e i ristoratori alla ricerca del vino con cui stupire il cliente. Ma accanto a loro, una gagliarda pattuglia di vini a cifre più che possibili, se non addirittura stupefacenti.Se per anni il mondo dello "show-wine" ha seguito in maniera pedissequa e inquietante le mosse voluttuose dell´alta moda, l´inizio di millennio ha portato i due settori più gloriosi del made in Italy a percorrere sentieri tanto vicini quanto obbligati. Da una parte, una nicchia sempre più nicchia, disposta a tutto per avere la super-bottiglia, in un gioco che rischia di rasentare il lusso gratuito, dall´altra una maggioranza sempre più espansa e robusta, vogliosa di godersi i piaceri dell´enologia senza dover accendere un mutuo a ogni ingresso in enoteca.Così, ecco il rutilante fiorire all´interno delle cantine più prestigiose delle cosiddette "seconde linee", esattamente come per l´haute couture, unico modo sensato per tamponare il successo esponenziale ottenuto dai piccoli e medi produttori in grado di offrire ottimi bicchieri a prezzi altamente concorrenziali. Bottiglie che hanno lasciato gli scatoloni in cui venivano dimenticate durante le fiere per approdare orgogliose fianco a fianco delle sorelle più quotate. Nella tre giorni più chic dell´enologia italiana, infatti, non si parla d´altro, in un rimando continuo su quale vino "buono-che-costa poco" andare ad assaggiare. Il tutto, derivato da un sentire collettivo molto prossimo all´affanno (vendite interne ed export in calo preoccupante) e furbamente camuffato da tendenza modaiola.Le guide si sono rapidamente adeguate, attrezzandosi nelle ultime edizioni con una serie corposa di atout, dal prezzo in primo piano (Espresso, Ais), alla segnalazione dei migliori rapporti qualità-prezzo (Gambero Rosso, primo esperimento datato addirittura 1992), ben sapendo che i consumatori sono sempre più avidi di informazioni mirate e corrette nella fascia medio-bassa. Perché chiunque bazzichi con un minimo di attenzione ristoranti, wine-bar e affini, sa benissimo quali sono le Grandi Firme, dove ogni etichetta è sinonimo di alta qualità e prezzi in scia. Ed esattamente come per la moda, anche nel vino a contare sempre di più sono invece i piccoli marchi, che godono di nulla pubblicità e rigoglioso passa-parola. A goderne, i 24 milioni di enofili italiani (dati dell´Osservatorio del Salone del Vino di Torino), di cui poco più di un quarto cerca vini di alta qualità. Gli altri, quasi 18 milioni, si accontenterebbero di bere bene senza svenarsi. Chissà se i produttori quest´anno li esaudiranno.

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