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La Repubblica

Spumante, un dicembre tutto da bere - Diceva Madame de Pompadour che lo champagne è l´unico vino capace di render belle le donne. Ma anche lo spumante non scherza: basta scorrere i volti e le grazie delle signorine abbinate alle nostre bollicine nelle 50 affiche d´epoca in mostra al Palazzo Roccabruna di Trento fino a metà gennaio (apertura dalle 10 alle 19, escluso lunedì, ingresso gratuito, informazione sul sito www.roccabruna.it).
Sognatrici, intriganti, soavi, inarrivabili e tentatrici: insomma, tutto quanto a inizio ?900 rappresentava la donna nell´immaginario dei clienti dello "champagne italiano". Perché questo era il messaggio delle bollicine: eleganza e trasgressione, mondanità e follia.
È ancora così? Sembrerebbe di no, se è vero che la linea depressa dei consumi di vino nell´ultimo decennio ha negli spumanti un guizzo di vitalità. Ne beviamo sempre di più (il consumo è cresciuto del 6 per cento solo negli ultimi due anni) e sempre più volentieri, anche se quella contro gli stereotipi tipo "il vino dei brindisi" o "lo champagne di serie B" è una lotta ancora in salita.
Certo, all´inizio la coppa, fino a ieri la flute e oggi il "tulipano", già da soli simboleggiano la festa, l´imminenza di un brindisi, la trasgressione di una bottiglia quasi mai dal prezzo ordinario. E se il consumo è fuori dall´ordinario come occasione (70 per cento tra dicembre e gennaio), allora anche la qualità deve essere "altra". Da questo punto di vista, lo champagne non ha rivali, almeno nella classifica ideale dei lussi.
I manifesti della mostra trentina, al riguardo, sono chiarissimi: da Cinzano a Gancia, da Asti a Riccadonna, per quasi un secolo intero ci siamo cullati nel sogno di fare concorrenza agli eredi del monaco benedettino Dom Perignon, che più di tre secoli fa nella cantina-antro dietro la sua cella aveva scoperto i segreti della rifermentazione in bottiglia.
Per fortuna, abbiamo imparato il piacere della diversità. E i nostri spumanti, pur continuando a cambiare denominazione, per non urtare francesi e vicini di territorio assai suscettibili (aboliti i termini champenois e perfino spumante), oggi sanno farsi apprezzare, bere e godere, a prescindere da brindisi e donnine.
Per carità, alzi la mano chi non pensa di chiudere la porta del 2004 senza il supertradizionale botto (da bottiglia non correttamente raffreddata o apertura più o meno volutamente maldestra?). Però piccoli cultori di spumante crescono. E insieme a loro gli chef di nuova generazione, che tra cotture alleggerite e contaminazioni etniche, fanno sempre più fatica ad abbinare vini dalle spalle larghe ai loro piatti. Ma più di tutti, negli anni, sono cresciuti i produttori, figli di aree vocate, ma non sempre gestite e curate al meglio (come invece succede nelle colte vigne dello champagne?).
Del resto, fare un buon spumante è discretamente faticoso. Un virtuale Bignami degli spumanti ci rammenterebbe che il vino di partenza, ottenuto da una o più uve tra le tre tipologie del disciplinare (chardonnay, Pinot meunier, Pinot nero), è messo in speciali bottiglie resistenti alla pressione interna, con aggiunta di lieviti selezionati. Il tappo è a corona. Dopo la rifermentazione, che può durare anche anni, le bottiglie sono sistemate in particolari rastrelliere (le "pupitres"). Dalla posizione orizzontale, giorno dopo giorno, le bottiglie vengono inclinate fino a quando, raggiunta quella verticale (con i residui vicino al tappo), vengono sboccate (degorgement), ricolmate e chiuse con tappo di sughero e gabbietta.
Da lì in poi, l´unico imbarazzo è quello della scelta, tra Brut, millesimati (prodotti solo in annate felici da uve di quella vendemmia), Satén (versione franciacortina dei Cremant francesi, ovvero i più delicati dei Blanc de Blancs, realizzati da sole uve Chardonnay), rosé e i riemersi Dosage Zéro, in cui manca il liquido di ricolmatura.
Se qualcosa non vi è chiaro, fino al 19 dicembre, potrete degustare gli spumanti - tra un manifesto e l´altro di Palazzo Roccabruna - assistiti da sommelier esperti e pazienti. Oppure potete andare oggi alla Città del Gusto di Roma, dov´è in programma una grande degustazione delle migliori bollicine italiane. E ricordate che la parola brindisi deriva dall´espressione tedesca di augurio: "bring dir´s", ti porgo (il boccale di birra o il bicchiere di vino). Quindi, trovate un amico di flute, coppa o tulip con cui godervele. Cin cin.


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