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La Repubblica

Vino Bio. La scommessa del c'era una volta. Bicchieri doc è una delle sorprese migliori del prossimo Vinitaly, in calendario a Verona dal 6 al 10 aprile: piccoli produttori biologici crescono e presentano le loro etichette migliori Perché le bottiglie di qualità - spesso nate da colture biodinamiche, invecchiate secondo natura e poi certificate - stanno sfatando tutti gli antichi pregiudizi ... C´era una volta il Vinitaly. E c´è ancora, quarant´anni dopo. Mai così grande, articolato, imperdibile. Con tutti i difetti, i limiti, gli errori che accompagnano fedelmente l´evolversi delle grandi manifestazioni (in programma dal 6 al 10 aprile a Verona), snobbarlo è difficile: che siate produttori o semplici appassionati, che fabbrichiate opinioni o bicchieri, vedere riunite sotto lo stesso tetto - meglio, sotto tetti vicini, per un totale di 80mila metri quadri - oltre quattromila aziende vinicole tra le più gettonate e prestigiose del pianeta, è una tentazione davvero irresistibile.
All´interno, troverete di tutto, dalla mega-enoteca alle degustazioni guidate, dagli abbinamenti con il meglio delle cucine del mondo all´elezione dei quaranta vini del mito italiano, e moltissimo altro ancora. Ma quest´anno, soprattutto, ci sarà una presenza-record di aziende certificate biologiche: oltre cento, dislocate tra consorzi e associazioni. Mai come oggi il bio sta dismettendo i panni della cenerentola delle produzioni di qualità, anche tra i vini. Ci hanno confuso le idee, detto che non era possibile, che per essere sano in vigna e nel bicchiere il vino doveva pagar pegno sul piano della bontà. E che pegno: vini con un´impronta di terra stampata sul palato o allappanti come limoni spremuti, sgraziati e incompiuti, con un presente mediocre e un futuro impossibile.
Ma piccoli vini crescono. Insieme a una generazione di giovani vignaioli, molti dei quali formati secondo i cardini dell´agricoltura sostenibile, pronti a lasciarsi alle spalle i bidoni di Mancozeb (l´anticrittogamico cancerogeno tra i più usati in agricoltura) per instaurare un diverso rapporto con la terra e con ciò che la terra produce, senza abdicare ai comandamenti della gola.
L´Italia si sta dimostrando terra d´elezione, se è vero che su dieci aziende bio europee, quattro sono nostre. Quantità e qualità: basta dare un´occhiata alle guide critiche per scoprire che negli ultimi anni, insieme agli ettari di vigna "convertiti", sono cresciuti in maniera esponenziale voti e giudizi tecnici.
Dal Piemonte alla Sicilia, le donne sono tante, tantissime. Quasi tutte votate, più che al biologico, alla biodinamica (che tiene in maggior conto la salute e la naturalità dei terreni). Sarà per il rapporto forte, empatico, con la terra, la fertilità, i cicli della luna e delle maree: una sorta di corrispondenza tra i tempi della natura e quelli del corpo, declinati al femminile da sempre.
E siccome le sfide vanno raccolte a tutto tondo, anche le uve utilizzate sono spesso poco conosciute, lasciate a lungo nel limbo dei vitigni di poca resa e temperamento bizzoso. Così, via libera al Frappato siciliano e al Ciliegiolo toscano: mica facili da domare, ma golosi e riconoscibilissimi nel bicchiere. Ma non è tutto bio quello che luccica. La mancanza di una legislazione europea specifica rende il settore ancora molto frammentato e con qualche incertezza di troppo (come per la regolamentazione dell´uso della solforosa): ma i vini da uve biologiche, o realizzati con il metodo biodinamico, godono di controlli seri e sconosciuti alle produzioni "convenzionali". Poi ci sono i ribelli storici. Quelli che fanno il vino buono, naturale e basta, rifiutando i bollini e mettendo a garanzia le loro facce contadine senza compromessi. Sono i VinoVeristi di Teobaldo Cappellano, i VinNaturisti di Angiolino Maule, gli antagonisti di Critical Wine, il gruppo tanto caro a Luigi Veronelli.
Li ritroverete, figli spuri ma non minori, nei giorni della fiera-madre, a pochi chilometri di distanza, tra Villa La Mattarana (San Michele Extra), Villa Favorita (Monticello di Fara) e il centro sociale veronese Chimica. Vale la pena di visitarli tutti. Assaggiando, gustando e commentando. Ma prima, prenotate una camera in zona. Il ritorno dal Vinitaly meglio non farlo al volante.

Grappoli anti-mafia
Il nome, Centopassi, è preso dal film di Marco Tullio Giordana sulla storia di Peppino Impastato. Il vino, un Nero d'Avola, in purezza, verrà prodotto a partire dalla prossima vendemmia. A realizzarlo, con la supervisione di Slow Food, sarà la Cooperativa Placido Rizzotto (il sindacalista di Corleone ucciso dalla mafia) con uve coltivate nelle terre confiscate a Totò Riina. L'etichetta è uscita da un concorso indetto all'interno di un istituto tecnico torinese, dopo una visita alla "casa della memoria" di Cinis, insieme al procuratore generale di Torino Giancarlo Caselli e al fratello di Peppino Impastato, Giovanni. A distribuire il vino, sarà la Coop Italia, che già commercializza la pasta "Libera terra".

Etichette bio
Rosso di Montalcino 2003 Stella Campalto - Euro 23
Saten 2002 Barone Pizzini - Euro 22
Chianti Classico 2003 Badia Coltibuono - Euro 12
Le Trame Podere Le Boncie - Euro 18
Gavi Pisè La Raia - Euro 12
La Vigna del Frappato - Euro 15
Amphora Castello di Lispida - Euro 35
Barolo Otin Fiorin Caoppellano - Euro n.c.

Rousseau annegò nell´alcol il mito del buon selvaggio
Quello della natura originaria, incontaminata e pura, è uno dei miti più antichi della storia dell´umanità. Da sempre gli umani guardano nostalgicamente alla propria supposta origine, illudendosi di poterla riattingere grazie ad artifici che di quella sono di fatto la più radicale negazione. Da ciò la contraddizione di un´umanità che sembra non rendersi conto che quello della "naturalità" si profila all´orizzonte come il più straordinario degli artifici.
Se tutto questo è vero, non può stupire che oggi anche il prodotto forse più caro all´antico sapere mitologico, ossia il vino, viva sino in fondo, e nella sua forma più radicale, tale contraddizione. Ossia, che per un verso esso cerchi di ritrovare una condizione di perfetta ma improbabile naturalità (dimenticando il suo risultare da operazioni complesse e risolutamente artificiali), e per un altro verso cerchi invece di fare della "rigenerazione genetica" la condizione di possibilità per una perfezione, sì perduta, ma non al punto da impedirci di averne in qualche modo memoria - e per ciò stesso, forse, di poterla ancora e sempre desiderare.
Da ciò, forse, il nostro attuale e delirante rapporto con il vino. Un prodotto che non a caso gli antichi avrebbero legato alla figura più complessa e contraddittoria della loro mitologia: Dioniso. Il quale poteva assumere, di volta in volta, le fattezze di un giovinetto effeminato dalle forme delicate e dunque sessualmente incerte, oppure quelle di un satiro rude e ispido, ispiratore della più devastante sregolatezza. Una divinità che i greci accolsero con sospetto e solo da ultimo si risolsero ad accogliere con tutti gli onori nel proprio Olimpo. Dioniso metteva infatti in questione l´ordine costituito, stimolava l´emersione del fondo originariamente "libero" di ogni ordine, e trovava il proprio symbolon perfetto nel vino. E soprattutto nell´ebbrezza che tale alimento rende universalmente sperimentabile. Dioniso, insomma, come emblema di libertà. Ma per ciò stesso della contraddizione più radicale.
Come, infatti, liberarsi dalle catene della necessità (caratterizzante appunto la vita del mondo "naturale") senza diventare vittime di una tecnica necessariamente vincolante alla logica dell´efficacia, e dunque liberatrice solo per il tramite di una logica forse ancor più ferrea di quella espressa dalle semplici leggi del mondo naturale? E poi, come liberarsi dalle strettoie dell´efficacia senza ritrovarsi gettati, di contro, nel cuore più profondo di una necessità (quella naturale) di cui non conosciamo, e forse mai conosceremo, il segreto codice universale?
Non è certo un caso che il più grande teorico dell´utopia del buon selvaggio (sostenitore di un´idea di natura incontaminata e originariamente buona), ossia Rousseau, usasse bere da solo, malinconicamente, nascondendosi furtivo nella cantina dei propri ospiti, forse a causa di una malcelata consapevolezza del fatto che la natura, in verità, non è affatto buona, e che dunque non restasse altro che ubriacarsi in compagnia del proprio inconfessabile segreto. Ma neppure può essere un caso che l´inganno di Odisseo, progettato per sconfiggere Polifemo, ovvero l´emblema della natura bestiale e "pericolosissima", prevedesse sì la somministrazione del vino quale condizione di possibilità del trionfo della cultura (o dell´artificialità) sulla natura, ma dovesse costare la vita a molti dei compagni di ventura dell´eroe omerico (che pagarono a caro prezzo, dunque, la sua illimitata curiositas). Come se il cieco cantore e poeta volesse ammonirci: attenzione, ché il bene procurato dalla tecnica ad alcuni comporta quasi sempre il male dei più.
Massimo Donà (l´autore insegna filosofia teoretica all´Università San Raffaele
di Milano e ha scritto il saggio "Filosofia del vino") (arretrato de La Repubblica del 26 marzo 2006)


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