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La Repubblica

Se il mercato oscura la storia ... Sarà, ma con tutto il rispetto per il panel dei degustatori, più che una notizia questa «sfida» suona come l´ennesimo capitolo della guerra ormai senza esclusione di colpi fra i vini del cosiddetto «nuovo mondo» (Australia, Cile, Argentina, Nuova Zelanda, e naturalmente Usa) e la Francia, intesa come capofila dei produttori storici, Italia inclusa. La sensazione è che dall´altra parte dell´Oceano il complesso d´inferiorità sia ancora forte e che la voglia di vincere prevalga su tutto. «Vincere» nel senso di vendere un maggior numero di bottiglie rispetto ai concorrenti del «vecchio mondo».
Su qualche mercato, Usa innanzitutto, ci stanno riuscendo e ancora cresceranno. Ma, per piacere, non pretendano di far credere che il sorpasso è dovuto alla miglior qualità: semplicemente, salvo poche eccezioni di vini seri, veri e carissimi, quelli del «nuovo mondo» sono vini più piacioni, più facili da bere, più comprensibili da chi conosce poco il vino o ad esso comincia ad avvicinarsi e, costano molto meno dei concorrenti europei. Sono bottiglie che, scoperte o alla cieca, gli amanti del vino assaggiano, conoscono e rispettano ma sanno collocare nella dimensione, nella tipologia e nella fascia di mercato cui sono destinate.

Tecnicamente corretti, anzi ineccepibili, sono spesso vini piacevoli ma privi d´identità, di storia, non espressione del «terroir» cioè dell´ambiente dove sono prodotti. E se provassero a fare degustazioni comparate, come quella in questione, con vini di fortissima identità come il pinot nero di Bourgogne o i nostri Baroli e Barbareschi, anziché con l´universale Cabernet Sauvignon?

Come possono allora aver vinto la sfida del ‘76 e rivinto quella di oggi? La risposta è più semplice di quanto si possa pensare: fuori discussione la serietà dei degustatori (ma con qualche dubbio sull´esperienza di qualcuno di essi) è la conferma che anche nel vino non è buono ciò che è buono ma è buono ciò che piace e, soprattutto ciò che si conosce meglio e che conviene. (arretrato de La Repubblica del 26 maggio 2006)

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