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La Repubblica

Vita e miracoli del Marsala da Garibaldi ai formaggi perduti... Nella seconda metà dell' Ottocento, Vincenzo Florio produsse quello che sarebbe rimasto come il Marsala più famoso. Si chiamava Garibaldi, proveniva dalla vendemmia 1860 e un campione fu mandato a Caprera all' uomo che gli aveva dato il nome. Sembra infatti che l' eroe indulgesse ogni tanto a qualche bicchierino di questo vino dolce, che probabilmente è il migliore che sia mai stato messo in vendita, nel suo genere. Anche se sono sicuro che l' unica bevanda amata da Garibaldi era in realtà il mate, che sorseggiava continuamente indossando il poncho con quelle cannucce incrostate d' argento portate dall' Argentina. Garibaldi doveva molto al Marsala, un vino inventato nel 1773 da un inglese, John Woodhouse, arrivato in Sicilia a commerciare i gusci di mandorle, che servivano allora per fabbricare la soda caustica, ed esperto di vini spagnoli e portoghesi. L' idea di Woodhouse, poi affiancato da Beniamino Ingham e da suo nipote Withaker, era stata quella di arricchire i vini della Sicilia con il sapore del mosto cotto attraverso il caramello.
Ma il successo arrivò solo con le guerre napoleoniche e il blocco navale imposto dai francesi, che aveva privato gli inglesi del Porto e dello Cherry. Per molto tempo il Marsala rimase un vino inglese bevuto nei quadrati ufficiali delle navi. E quelle due navi inglesi presenti nel maggio 1860 nel porto di Trapani erano state mandate non per aiutare i garibaldini ma per proteggere le proprietà dei cittadini inglesi. Ma il comandante della flotta borbonica, che non credeva alla casualità, lasciò sbarcare tutte le camicie rosse per paura di una ritorsione britannica. Dunque il Marsala si potrebbe definire un vino che ha ben meritato per la patria: a glorious wine. Con il passare degli anni il Marsala seguì la stessa trasformazione che stava seguendo l' Italia: dall' epos risorgimentale al tran tran degli eroi diventati impiegati statali.
Attestatosi nelle classi medie e piccolo borghesi dell' Italia meridionale, dove veniva considerato un tonificante ed un corroborante, veniva servito sul cabaret (da pronunciare gabarè) insieme alla guantiera di paste nelle domeniche in cui venivano a salutare cognati e cognate, in un trionfo di centrini piattini tovagliolini e biscottini. Il rito prevedeva che si potesse immergere il biscottino nel bicchiere, perché aiutava ad avere una buona cera. Infatti veniva usato nello zabaglione, che le giovani spose lasciavano sul comodino del marito perché si riprendesse. è abbastanza comprensibile come il Marsala, avendo un passato simile, non fosse il liquore eccitante che le generazioni venute dopo il secondo dopoguerra stavano aspettando. Da allora per il vino è iniziata come una lunga marcia di ritorno, un' anabasi attraverso terreni accidentati per ritornare ai successi del passato. Ma per la verità conosco pochissimi ristoratori che, come Don Ciccio di Bagheria, abbiano usato servire il marsala come aperitivo insieme ad un uovo sodo. Anch' io coltivavo dei pregiudizi verso il Marsala. Poi un giorno decisi di salire in cima ai Monti Peloritani, sopra Santa Lucia del Mela, alla ricerca di un leggendario formaggio che una altrettanto leggendaria famiglia Mirabile di pastori e produttori faceva sulle sommità dei monti, in pochissime prelibatissime forme. Avevo ricevuto l' informazione al Corfilac di Ragusa, un consorzio che è la cosa più vicina all' antro di un mago Merlino moderno che abbia mai visto, con una capacità sbalorditiva di far rinascere formaggi di cui si era persa la memoria.
Il formaggio si chiamava Maiorchino e dopo averne assaggiata una minima porzione avevo deciso di impadronirmi di una forma intera. Così salimmo sulla montagna e quando guardavamo indietro si vedeva il Tirreno oltre le Eolie e dalla campagna venivano tutti i profumi delle erbe selvatiche, che avrei ritrovato nel formaggio. Ho ricordi sfumati di quella giornata, che diventano straordinariamente precisi quando una ragazza tirò fuori dal sacco un termos con il Marsala ghiacciato. Bastò berne un solo sorso perché gli aromi contenuti nel formaggio tornassero in vita profumando la bocca e scendendo in gola in una delizia assoluta. Forse i termos erano due perché dopo qualche ora decisi che il caldo era insopportabile e che l' unica maniera per scendere a valle era di sistemarmi dentro una conduttura d' acqua a cielo aperto e di lasciarmi trascinare in basso. Fu una performance di alta acrobazia seguita da tutti gli altri e da allora, ritornando in Sicilia, mi prometto di passare da quelle parti per veder se ancora sono in grado di ripeterla.

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