La Repubblica

“Ma una gradazione sempre più alta non è sinonimo di maggiore qualità” ... Marco Pallanti, enologo: giusto stabilire regole uguali per tutti i Paesi produttori... Marco Pallanti è coproprietario ed enologo di “Castello di Ama”, azienda-culto nel cuore del Chianti. Sorpreso dalla proposta della Commissione Europea?
“Per nulla. Da anni si parla di abolire gli arricchimenti con lo zucchero. Bisogna assumere una posizione paritaria. Lo scivolo richiesto dai Paesi del nord è ridicolo, perché non c’è da adeguare un bel niente, è solo un modo di rimandare il problema. In compenso, la licenza di usare il mosto per aumentare l’alcolicità dovrebbe essere valutato al momento, mentre ogni anno ad agosto arriva il decreto, che sia stata un’estate di sole o di pioggia. Non è serio”.
In Italia zuccherare il mosto viene punito come sofisticazione.
“Sbagliato. Nella realizzazione dei più grandi vini francesi è prevista l’aggiunta di zucchero. Non credo proprio che i più famosi enologi del mondo siano dei mascalzoni. Ma è anche vero che la muscolarizzazione fa danni”.
Ovvero?
“Quando ho cominciato a lavorare, i grandi bordolesi non andavano oltre i dodici gradi e mezzo. Poi si è cominciato a pensare che la gradazione incrementasse la qualità, il prestigio. E si è andati incontro a degli abusi. Ma il vino non è soltanto alcol”.
Meglio lo zuccheraggio o l’aggiunta di mosto?
“I ritocchi sono veramente minimi con entrambi i sistemi. In Italia abbiamo sempre difeso i mosti concentrati che arrivavano dal sud. Da un punto di vista qualitativo, cambia poco, a patto che si parli di mosti rettificati ben fatti. Il rischio, infatti, è che se non sono fatti con uve di qualità i mosti si portano appresso batteri e lieviti anomali, che intaccano la qualità del vino. Lo zucchero, invece, è neutro. E in più, si conserva da un anno all’altro, mentre il mosto non regge: quello che compri, devi usare, oppure buttarlo. Secondo me, il massimo è lo zucchero d’uva. Peccato sia impraticabile per i costi proibitivi”.
Autore: Licia Granello