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La Repubblica

La guida della grande ingiustizia. Nei giorni che segnano l’uscita della nuova edizione della Michelin da unaparte all’altra del mondo, la Rossa dedicata ai ristoranti italiani brilla per l’inadeguatezza dei suoi riconoscimenti. Cinque, per il terzo anno consecutivo, i locali meritevoli delle Tre Stelle, e una sola seconda stella nuova, che nuova non è, ma riassegnata. Un immobilismo che mal si attaglia al magico momento della nostra cucina d’autore, mai tanto apprezzata, richiesta e celebrata, tra congressi, premi internazionali, eventi. Nuovi cuochi talentuosi si affermano, mentre i Grandi Vecchi non si fermano. Basti pensare a Gianfranco Vissani, in quel di Baschi, Umbria, o alla famiglia Iaccarino, Sant’Agata sui due golfi, in costiera sorrentina, il primo sempiterno Due Stelle, i secondi privati della Terza Stella mai più restituita. Fra l’altro, entrambi i ristoranti sono stati ristrutturati in maniera mirabile, mantenendo ferma la qualità della cucina. Discorso analogo per il Relais&Chateau Vittorio, a Brusaporto, Bergamo, che ieri sera ha ospitato la presentazione della guida: la maestria di Chicco Cerea richiama clienti da mezzo mondo. Fra l’altro, tutte e tre le famiglie-proprietarie hanno inaugurato da poco un piccolo ventaglio di camere annesse ai rispettivi ristoranti, in linea con le più belle maison dell’hotellerie internazionale. Nessuno, tra i responsabili parigini della guida, pare essersene accorto. Senza camere, ma anche senza rivali per armonia e ispirazione, la cucina di Fulvio Pierangelini. Quando Jean Luc Naret, lìder maximo della Rossa, sostiene che le Stelle sono attribuite prima di tutto in base al valore dei piatti, fa grave torto al fuoriclasse di San Vincenzo. Le cahier de doléance diventa anche più pesante se si paragona la Rossa Italiana con le sorelle uscite nei giorni scorsi. Certo, gli otto Tre Stelle che glorificano la Michelin Tokyo trovano ampia spiegazione nell’offerta gastronomica della città: 160.000 ristoranti, otto volte tanto quelli di Parigi. In compenso, suscitano scalpore le nove Tre Stelle sancite dall’uscita della nuova Michelin Germania, tre in più dell’anno scorso. La cucina tedesca può esprimersi a livelli di eccellenza (anche se la Michelin premia sempre le contaminazioni francesizzanti), ma il rapporto 9 a 5 con la ristorazione italiana appare poco sensato, come il “ventisei a cinque” con cui veniamo surclassati dai cugini francesi. Eppure, la Michelin è l’unica guida gastronomica davvero internazionale, che vanta ispettori professionisti, assunti dall’azienda e operanti in anonimato, con una storia importante alle spalle. Perché questo ostracismo nei confronti della cucina italiana? Poco vale l’incremento delle prime stelle – 26 per un totale di 251 - se ai vertici nulla cambia. L’unica eccezione riguarda il ritorno di Aimo&Nadia alla doppia stella, considerato insieme al Pescatore di Canneto la miglior espressione della cucina tradizionale italiana, per anni finito ingiustamente in purgatorio. In odore di seconda stella, invece, l’altro strepitoso talento della cucina regionale, il napoletano Gennaro Esposito, nuova “promessa” della guida. Piccoli segnali che poco ci consolano. Dovremo ruminare malcontento un altro anno, prima di provare a far pace con la Rossa più amata dai francesi.

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