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La Repubblica

Coppola.Vigneti da Oscar … Dalla sua proprietà nella Napa Valley escono memorabili bottiglie che il regista definisce “un’altra forma d’arte”… All’inizio degli anni Settanta un giovane regista che
ancora non aveva conosciuto il successo stava ritornando in macchina verso Los Angeles in compagnia del suo assistente. Aveva appena terminato le riprese di una pellicola intitolata Non torno a casa stasera ed era esausto per le mille difficoltà che aveva presentato, ancora una volta, la realizzazione di un suo film.

Quando l’assistente suggerì di fare una deviazione per passare attraverso la Napa Valley, il regista replicò che era troppo stanco, ma poi si lasciò sedurre dal fatto che il giovane collaboratore, nativo di Modesto, conosceva benissimo la zona e prometteva un paesaggio gentile e incontaminato, dove si produceva un vino eccellente sin dalla fine dell’Ottocento.

Per il regista il vino aveva sempre rappresentato qualcosa di molto affascinante, che lo portava a ripensare alla sue origini italiane: quando era bambino, si era divertito ad aiutare uno zio che ne seguiva la fermentazione nella sua casa a New York, e ricordava le storie del nonno che lo produceva in cantina all’epoca del proibizionismo.

Non appena si addentrarono nell’area di Napa, una lunga valle circondata da due colline che scendono dolcemente verso Calistoga e Vallejo, il regista si accorse di quanto fosse bella e soprattutto fertile, e promise a se stesso che un giorno avrebbe acquistato lì una proprietà dove trasferirsi insieme alla moglie e ai tre figli: era alla ricerca di un posto isolato dove poter tenere unita a sé la famiglia e fuggire via da Hollywood. La pensava allo stesso modo l’assistente, e nel giro di pochi anni i due riuscirono a realizzare i rispettivi sogni.

Il regista fu chiamato a girare una saga di mafiosi italo-americani, dopo aver prodotto per l’assistente un film autobiografico ambientato in una cittadina della California negli anni Sessanta. Grazie all’incredibile successo del Padrino e di American Graffiti Francis Ford Coppola e George Lucas acquistarono delle proprietà nella zona che avevano attraversato quel giorno. Ma se lo Skywalker Ranch di Lucas unisce la funzione di buen retiro a quella di istituzione dove si celebra e produce la saga di Star Wars, la Rubicon Estate di Coppola a Rutherford è una tenuta dove il cinema interpreta un ruolo marginale, mentre vi si celebra in ogni forma la cultura del vino.
Quando il regista acquistò nel 1975 la villa vittoriana dove Gustave Niebaum aveva piantato i vigneti a cui aveva dato il nome Inglenook, non aveva in mente che sarebbe diventato nel giro di pochi decenni uno dei più ammirati viticultori americani. Nei primi tempi si limitò a produrre modeste quantità di vino per casa, ma nel giro di pochi anni cominciò ad appassionarsi alla storia della proprietà dove aveva trasferito la famiglia e dopo mille peripezie riuscì ad acquistare tutto il terreno che era appartenuto al geniale imprenditore di origine finlandese.

Dopo la morte di Niebaum, l’erede John Daniel jr. continuò a produrre del vino eccellente, ma le vicissitudini economiche e l’ostilità della moglie, una donna di religione mormone che condannava l’uso degli alcolici, lo costrinsero a vendere i vigneti Inglenook, che vennero acquistati dalla Heublein. E quello che oggi alla Rubicon viene definito il “periodo buio”. La Heuble utilizzò il marchio Inglenook per commercializzare vino scadente, spostò la produzione in un’altra area della valle e edificò al centro del vigneto un’orribile costruzione in cemento per immagazzinare le botti.
In un primo momento il regista chiamò l’azienda Niebaum-Coppola.
Il cuore della tenuta è la costruzione chiamata Chateau, un sontuoso edificio vittoriano dove ha sede l’enoteca, del quale Coppola ha seguito personalmente la ricostruzione a cominciare dalle vetrate e dai mosaici all’ingresso delle cantine.

Ha curato ogni dettaglio del restauro, comprese le etichette delle bottiglie, ed è stato lui a disegnare lo scalone interno in legno, commissionando al suo scenografo Dean Tavoularis i mobili che arredano le cantine. Il legno proviene dal Belize, dove il cineasta possiede altre due proprietà non meno spettacolari, ed è stato lavorato da artigiani fatti venire apposta dall’Italia. L’acquisto dell’ultimo appezzamento di terreno avvenne nel 1995: per celebrare la riunificazione della proprietà il regista organizzò una proiezione all’aperto del Napoléon di Abel Gance, accompagnata da un’orchestra che suonò la partitura composta dal padre Carmine.

Chi visita oggi la Rubicon Estate può ammirare una splendida collezione di lanterne magiche, una Tucker in perfette condizioni e qualche foto di Coppola sul set, ma tutto il resto è dedicato al vino e alla storia della proprietà. La tenuta è vasta 1700ettari, 235 coltivati a vino, vi lavorano 160 persone per produrre appena cinque etichette: un rosso curato dal figlio Roman con vitigni syrah, merlot e petit verdot che porta le sueiniziali RC; un cabernet denominato Cask; uno zinfandel chiamato Edizione Pennino (è un omaggio al nonno materno, autore di sceneggiate e di oltre trecento canzoni napoletane); un russane mescolato a vitigni viognier e marsane chiamato Biancaneaux; ed infine il più pregiato: un cabernet sauvignon chiamato Rubicon che costa 125 dollari la bottiglia. Alle spalle della casa e dei vigneti una foresta sempreverde si inerpica sino al monte St. John, dove vivono cervi, conigli, volpi, coyote e persino piccoli puma, mentre nei tre ruscelli che attraversano la proprietà abbondano i salmoni. Un tempo ci vivevano gli indiani Wappo, e ci sono ancora segni dei falò lasciati da questa tribù misteriosa, che non usava la scrittura. Al disotto della zona boscosa la vegetazione è formata da querce, ulivi e sicomori, mentre i viali sono costeggiati da alberi di prugne.

Non lontano possiede una proprietà anche Robin Wiliiams, ma ciò che distingue la tenuta di Coppola da quelle dei vicini è la ricerca riuscita di un perfetto ecosistema. Ne sono esempio le voliere per far riposare i pipistrelli: gli animali vengono tenuti a debita distanza dalla villa, ma sono incoraggiati a rimanere nella proprietà, in modo che possano cibarsi degli insetti, in perenne rischio di soprannumero.

Il giorno in cui visito la sua azienda, Coppola è in partenza per l’Argentina per preparare il prossimo film, ma ci tiene a spiegarmi che coltivare il vino gli ha “insegnato a seguire il ritmo della natura e ad apprezzare le stagioni. È impossibile, vivendo qui, non osservare gli uccelli, i conigli e gli altri animali per i quali il vigneto rappresenta un grande buffet. Coltiviamo le nostre uve organicamente e ciò genera vita intorno a noi. Nessun anno è uguale a un altro, e la viticoltura è basata sul tempo, la pazienza e la continuità. Questa terra ha prodotto vino prima che
io fossi nato, e continuerà a farlo per molto tempo quando non ci sarò più”.

All’interno della tenuta c’è uno studio dove il regista ha montato i suoi film a partire dalla metà degli anni Ottanta (ha fatto lo stesso la figlia Sofia, a cui Coppola ha dedicato un bianco frizzante di grande successo), ma anche questo aspetto è tenuto in sordina e, con il fine di dare il giusto rilievo al prodotto senza sfruttare la popolarità dovuta al cinema.

Coppola ha deciso recentemente di togliere il proprio nome dalle etichette dei suoi cinque vini pregiati. Una scelta opposta a quella dell’altra sua tenuta, nella zona di Sonora: il luogo in cui Coppola produce il vino più a buon mercato, a cui ha dato i nomi italiani di Rosso e Bianco, e dove sull’etichetta ha posto in grandi caratteri la scritta Francio Ford Coppola presents. Non è un caso che siaquesto il posto dove sono esibiti gli Oscar vinti nella sua folgorante carriera cinematografica.
Tuttavia, nella veste da viticultore, Coppola non dimentica di essere un regista e produttore: ha chiamato a curare i suoi vigneti uno dei massimi esperti mondiali del settore, Scott McCloud, e ha voluto accanto a sé come general manager dell’azienda Larry Stone, un altro grande esperto divini che nel 1988 è stato eletto miglior sommelier del mondo.

Quando lo sollecito a trovare un parallelo tra cinema e viticoltura, Coppola spiega che si tratta di due “grandi forme d’arte che hanno avuto una importanza fondamentale nello sviluppo della California. Iniziano entrambe da materie allo stato primario: la terra e le uve nel caso del vino; la sceneggiatura e gli attori nel caso del cinema. L’uva è soggetta alle condizioni del tempo, l’interpretazione degli attori a molti fattori. Il viticultore deve fare delle scelte, per esempio sulla fermentazione o su un innesto. Non è troppo diverso il ruolo del regista che deve prendere continue decisioni sul cast, i costumi, il montaggio... Ma in entrambi i casi è necessario iniziare con materia prima di eccellenza, sia che si tratti di una terra che di una sceneggiatura. A volte si può anche improvvisare e lasciare che la natura segua il proprio corso, ma quando finisci un film, il set viene distrutto, qualunque sia la sua importanza. Quello che trovo veramente bello in questa avventura del vino è che è qualcosa che rimane”.

Negli ultimi anni Coppola ha deciso di ridurre l’afflusso di visitatori che accorrevano solo attirati dal glamour. Quando gli chiedo il motivo della scelta, mi spiega che il vino “è mito, storia, geografia, agricoltura, religione e molto altro”.

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