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La Repubblica

Un successo nato dall’amore per la terra ... Molte storie hanno al loro interno un momento topico, che funge da spartiacque degli eventi: senza scomodare la Bibbia con il Diluvio Universale, in tempi a noi più prossimi questo ruolo è stato dato al 1989, con la caduta del Muro di Berlino e l’avvio del processo di nuova globalizzazione dei mercati.
Anche il Brunello e, conseguentemente l’intera area territoriale di Montalcino, ha il suo: è il 1995, l’anno del grande successo, l’anno in cui quel vino cessa di essere solo un prodotto e diviene un’icona.
Guardando alla produzione enologica internazionale, infatti, nessuno può negare che il Brunello di Montalcino da un certo momento in poi sia divenuto un vino che ha avuto successo. Anzi, che ha avuto un successo unico, per dimensioni e qualità. Ma perché è riuscito dove altri hanno fallito? Innanzitutto svestiamoci di un po’ di mitologia: il Brunello non è diventato quello che è perché è un vino oggettivamente migliore di tutti gli altri.
Questa affermazione non ha davvero alcun senso: sarebbe come dire che Picasso è un pittore di successo perché è più bravo di tutti i pittori della propria epoca e di quelli che lo hanno preceduto. Dire, insomma, che il Brunello è il vino oggettivamente migliore di tutti è una tesi semplicistica. Ciò non toglie, naturalmente, che sia un ottimo vino, che berlo regali un’esperienza superiore a tanti altri vini e, soprattutto, sensibilmente differente, tanto che non a tutti piace (pur restando sempre un ottimo vino!).
Giocando un po’ sul filo del paradosso, possiamo dire che il Brunello ha tanto successo anche perché è un vino costoso.
Agli esperti è ben noto, infatti, che un prezzo elevato concorre significativamente al successo di un prodotto: dal lato dell’immagine, perché l’alto prezzo sostiene l’idea che il prodotto abbia un che di speciale ed esclusivo (nel senso letterale di “non per tutti”); dal lato produttivo, perché disporre di margini economici positivi significa poter spendere in qualità, e la qualità non si fa arrangiandosi. Gli enormi investimenti necessari per tenere vive le produzioni sul mercato, per installare e mantenere delle coltivazioni di vigneti che producano uve pregiatissime, per costruire cantine ben fatte, dotate dei necessari recipienti in legno, per fare confezioni di prodotto che reggano la prova del tempo e via dicendo, possono essere sostenuti solo se si dispone di grandi somme proprie, o si reinvestono i margini guadagnati con la vendita. Nel Brunello questo circolo economico virtuoso funziona. Tuttavia, penserà qualche attento lettore, queste condizioni economiche possono esserci anche in altre parti d’Italia e del mondo: perché proprio con il Brunello il gioco ha funzionato così bene?
La risposta è semplice: la terra non è tutta uguale, in quella parte di Toscana è la più adatta per il sangiovese e quel territorio, nel suo complesso, ha da sempre una speciale vocazione per fornire un vino di carattere, che abbia una struttura tale da reggere nel tempo e possa essere conservato per molti anni.
La vocazione di un territorio la fanno la terra e le condizioni climatiche, certo, ma anche gli uomini che lo abitano e lo vivono. Fra questi, a Montalcino, un posto di rilievo lo rivestono certamente i Biondi Santi: produttori storici della zona, in tempi molto lontani dal “vino-fashion” di oggi, avevano una delle poche aziende, forse l’unica in Italia, a mettere in vendita una serie di annate che risalivano addirittura alla fine dell’Ottocento.
Questo amore per un certo tipo di produzione, presente a Montalcino e non altrove, servì a conferire al Brunello la fama di vino che resiste anche a cento anni dalla vendemmia.
Non è, questa, una cosa da poco: se il vino è un prodotto differente dagli altri anche per via della ritualità e della leggendarietà che lo circondano, poter disporre di un prodotto capace di giocare la partita della degustazione “centenaria” è certamente uno dei motivi per il quale il Brunello è assurto al ruolo di icona e ha avuto il successo che sappiamo.
Tratto dal libro “Io e Brunello” edito da Baldini Castoldi Dalai

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