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La Repubblica

La guerra del Brunello, arriva l’ultimatum Usa “Stop alle importazioni” ... Rischio frodi: senza garanzie blocco dal 9 giugno... “La faccenda del Brunello di Montalcino rappresenta un caso di frode ai danni del consumatore americano. È responsabilità del Attb (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau, ndr) assicurare che le bevande alcoliche siano etichettate correttamente, allo scopo di proteggere il pubblico dalle frodi. Pur avendo richiesto più volte, nel periodo dal 9 al 25 aprile 2008, informazioni, verifiche e la lista dei produttori di Brunello di Montalcino non conformi al disciplinare non abbiamo ottenuto alcuna risposta. Pertanto, la Dogana è autorizzata a bloccare la distribuzione di vino importato sprovvisto di certificazione”.
La lettera, inviata la scorsa settimana all’ambasciata italiana a Washington, lascia scarso spazio all’immaginazione: a partire dal 9 giugno, gli Stati Uniti bloccheranno le importazioni di Brunello, a meno che le partite di vino non siano accompagnate dalla certificazione dell’analisi di laboratorio sulla presenza all’interno di sole uve Sangiovese.
Una nuova, densissima nube oscura il cielo di uno dei vini più famosi, pregiati ed esportati del mondo. In realtà, non di novità assoluta si tratta, ma di conseguenza temuta - e in qualche modo attesa - all’iscrizione sul registro degli indagati di alcune aziende della campagna di Montalcino, accusate di aver “ammorbidito” negli ultimi anni gli spigoli del Sangiovese - unico vitigno ammesso per la fattura del Brunello - con uve diverse, prima fra tutte il piacione Merlot.
La notizia dell’inchiesta sul Brunello, uscita ai primi di aprile (in contemporanea al Vinitaly), aveva avuto un effetto deflagrante sui precari equilibri del Consorzio, dove da anni i puristi montalcinesi si scontrano con i produttori più commerciali. Discussioni a muso duro per difendere l’integrità del disciplinare, anche a costo di mandare sugli scaffali delle enoteche un prodotto meno facile e più bisognoso di maturare in cantina.
Ora, la messa in mora da parte degli americani rischia di frantumare ulteriormente le diverse anime dell’associazione. Certo, aggiustare il Brunello con piccole percentuali di altre uve, è pratica che non intacca minimamente la salubrità del vino. Ma correggere abusivamente il disciplinare è scorretto nei confronti di tutti quelli che si ostinano a produrre senza scorciatoie. A suo tempo, il gran piemontese Angelo Gaja scelse di sottrarre la sua nuova creatura enologica ai vincoli del disciplinare del Barolo. Il suo Nebbiolo, ritoccato con poca uva Barbera e battezzato “Sperss”, ebbe comunque un successo straordinario. In terra di Brunello, però, nessun produttore vuole privarsi di un nome che vale soldi e notorietà.
Il presidente del Consorzio, Francesco Marone Cinzano, ha spiegato che l’obiettivo è garantire informazioni rapide “ed eventualmente confidenziali” ogni volta sia in corso un’inchiesta giudiziaria a carico di uno o più produttori italiani. Tace la procura di Siena, titolare dell’inchiesta, che coinvolge quasi cento addetti ai lavori e quindici aziende, tra cui Antinori, Banfi e Frescobaldi, storici dominatori del mercato americano, per i quali i magistrati hanno disposto il sequestro dell’annata 2003. L’assemblea convocata ieri pomeriggio nella sede del Consorzio si è chiusa a tarda sera senza parole certe: “L’ultimatum Usa? Si troverà un accordo”. E intanto, il conto alla rovescia anti-Brunello continua.

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