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La Repubblica

La lezione del Brunello ... Fa molto piacere che il paventato blocco delle importazioni statunitensi di Brunello sia stato scongiurato con tempestività e determinazione dall’intervento del ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia. Ne è scaturito un accordo di buon senso tra Stati Uniti e Italia, suggellato tra le vigne di Montalcino dal ministro e dall’ambasciatore americano Ronald P. Spogli: il Ministero, attraverso un comitato composto da tre “saggi”, si è assunto la responsabilità di controllare che i disciplinari di produzione siano rispettati e questa garanzia consentirà al Brunello di continuare a varcare i confini a stelle e strisce con buona pace di tutti.
Se da un lato è sacrosanto riconoscere i meriti del Ministro Zaia che ha saputo sbrogliare la matassa molto velocemente, ora che le acque si sono calmate è tuttavia importante fare alcune considerazioni. Innanzi tutto i disciplinari: non sono le tavole della legge, ma vanno rispettati una volta che i produttori si sono messi d’accordo. Bisogna dimostrare sempre serietà da questo punto di vista. Ricordiamoci che possono essere cambiati - la legge lo prevede, all’interno del Consorzio si può votare a maggioranza qualsiasi modifica - ma proprio per questo disattenderli è quanto di più sbagliato e controproducente si possa fare. Se si vuole fare un vino che sappia incontrare meglio i gusti del pubblico o dei critici che redigono le guide che lo si faccia pure, ma che lo si chiami in un altro modo: il Brunello di Montalcino va prodotto con il 100% di Sangiovese Grosso coltivato nel Comune, non ci sono alternative.
Inutile e illegale fare maquillages con altre uve al fine di renderlo più piacione per le papille dei palati modaioli: non sarebbe più Brunello di Montalcino. Anche i gusti dei consumatori non sono le tavole della legge. La grandezza di un vino come il Brunello e come tante altre gloriose denominazioni italiane sta nell’essere riusciti a crearsi con il tempo una propria consolidata identità. La costanza nel mantenere uno stile produttivo e caratteristiche organolettiche peculiari, confermate in ogni annata, è ciò che più ha dato risultati per l’immagine dei nostri grandi vini. Se anche il vino comincia a non essere più la rappresentazione di un territorio, della sua storia, della sua natura e delle sue genti, ma piuttosto un prodotto che insegue come una banderuola le indicazioni del marketing e le inclinazioni dei critici influenti, si commetterà in prospettiva un errore di proporzioni inimmaginabili. La creatività e la capacità di innovare sono importanti, ma l’identità dei vini va rispettata fino in fondo: da lì parte il loro fascino e la loro grandezza.
Infine va detto che l’intervento straordinario del Ministro è senz’altro stato positivo, ma proprio perché straordinario non deve diventare la regola. I Consorzi devono saper mantenere il loro ruolo istituzionale senza che sia lo Stato a fare opera di tutela. Si tratta in fondo di un discorso di democrazia partecipativa, in cui sono le persone, i produttori di un determinato territorio che si danno le regole e si preoccupano di rispettarle e farle rispettare. è un sistema ottimo, che ha dato ottimi risultati, e che va preservato. Spiace dunque che sia lo Stato a dover stabilire se il Brunello è realmente Brunello: speriamo che sia una situazione passeggera e che si ritorni presto alla normalità.
Anche perché ricordiamoci che in questo caso non siamo di fronte a sofisticazioni come alcuni americani possono aver pensato: “correggere” una denominazione con uve fuori disciplinare è una pratica irregolare e scorretta, ma non ha niente a che vedere con certe truffe che nel settore alimentare possono essere al limite del criminale. Tuttavia il caso del Brunello ci ha insegnato che il rischio che nell’opinione pubblica si diffondano paure incontrollate e notizie lontane dalla realtà è sempre all’ordine del giorno se certi furbi non sono richiamati all’ordine. Questo è uno dei compiti dei consorzi. Che dunque questa vicenda a lieto fine sia d’esempio anche per tutti gli altri grandi vini italiani, perché per una bravata si rischia di compromettere in un attimo un’immagine meravigliosa, conquistata con decenni di sapiente lavoro contadino.

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