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La Repubblica

Un’operazione di marketing ... Il commento... Chiedere lo status
di patrimonio dell’umanità per una gastronomia nazionale è come mettere uno splendido maquillage su un bel viso che non è più giovane ed è percorso da rughe profonde.
Se da un lato fa piacere che finalmente dei prodotti gastronomici possano, a ragione, essere considerati alla stregua di monumenti, opere dell’ingegno umano o di una Natura sorprendente, questa cosa purtroppo suona come un’operazione di marketing. Non che il marketing sia un peccato o faccia male, anzi: rallegriamoci pure se la Francia, il Messico, la Spagna, il Portogallo e un giorno l’Italia potranno vantare patrimoni gastronomici ufficialmente preziosi come l’edificio di un grande architetto, un canyon o le spettacolari rovine di un’antica civiltà. Rendiamoci però conto che un’iniziativa di questo genere non pone né basi né strumenti per una reale tutela. Ogni cultura gastronomica, anche la più povera, è degna di essere riconosciuta patrimonio dell’umanità, ma al contempo ogni cultura gastronomica, anche la più ricca, oggi è in pericolo. Mancano le difese per il territorio, il paesaggio, l’agricoltura, i contadini, la biodiversità; ci sono problemi ecologici di portata epocale. In più dobbiamo registrare che spariscono i mestieri e chi li sapeva fare, i depositari di quei savoir faire che hanno plasmato le gastronomie che si vogliono celebrare e difendere, nonché quelle meno trendy, che però nutrono quotidianamente miliardi di persone nel mondo, con qualità e in maniera sostenibile. Se proprio vogliamo essere belli, sarà dunque il caso di agire a
monte, piuttosto che limitarsi al trucco.

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