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La Repubblica

Assaggiare il mondo ... Benvenuti alla tavola di Madre Terra. Quattro giorni è un tempo risicato per organizzare una gita. Ma se non lo farete, perderete l’appuntamento alimentare più originale, grandioso, commovente del biennio che verrà. Ogni due anni, infatti, Salone del Gusto e Terra Madre, sempre più intersecati e interdipendenti, irrompono nel quieto tran tran della città provinciale più metropolitana d’Italia, per regalarle cinque giorni di frenesia etico-gustativa, una sorta di gigantesco frullatore di sentimenti e golosità, che tutto trasfigura, rallegra, ridisegna. Difficile da raccontare, facile da vivere. Basta varcare i saloni del Lingotto e non fermarsi prima di essere esausti. Tanto, le pause rigeneratrici non mancano, che sostiate allo stand dei produttori di nettare delle api Canuto in Amazzonia o a quello dei monaci tibetani che lavorano il latte di yak. Così da godere del cibo e, insieme, imparare un pezzetto di eco-gastronomia applicata. Questa è la grande scommessa vinta dai boys di Carlin Petrini: aver dimostrato che due rette parallele possono incontrarsi ben prima dell’infinito. Giorno dopo giorno, dall’inaugurazione alla chiusura, decine di migliaia di visitatori hanno la chance di scoprire un’incredibile quantità di frammenti del pianeta-cibo, e di farli propri. In una sorta di circolo virtuoso, si assaggia un cibo che conosciamo poco o che non conosciamo affatto. Ci attira, lo gustiamo, ci piace (poco o tanto). Ma soprattutto, con una sola domanda, un cenno, un commento felicemente stupito, sveliamo gli incanti delle storie, delle facce, delle lontananze che diventano fratellanze, abbattendo con un solo morso barriere e pregiudizi. I cibi e chi li rappresenta raccontano tutto questo. Nel corridoio che unisce le due parti della manifestazione, i Mercati della Terra dimostrano che la rete di piccoli produttori locali - qualità accertata, filiera corta, giusto reddito, basso impatto ambientale - funziona da una parte all’altra del mondo. Le sorprese vi stordiranno. Mai assaggiato i datteri dell’oasi di Siwa? Trecentomila palme prosperano in una striscia di terra benedetta dall’acqua nel deserto egiziano che confina con la Libia. I loro frutti sono soavi, profumati, dolcissimi. Peccato che la produzione non soddisfi le quantità imposte del mercato. Farle conoscere al grande pubblico significa salvarle dall’abbandono e dall’estinzione. Oppure il riso rosso del Madagascar, incrociato tra il bianco giapponese e il selvatico autoctono: a perpetuarne la coltivazione, è la cooperativa che si occupa del parco di Andasibe. Salvaguardarla, vuole dire proteggere dalla speculazione il più lungo corridoio di foresta primaria intatta del Paese. E ancora, il lavoro delle donne. Quelle marocchine, che spaccano una a una le bacche di Argan, per ricavarne i semi da cui ottenere un olio speziato e prezioso, o raccolgono i fiori di zafferano dell’altopiano di Taliouine e li seccano nei cortili delle case. Quelle mauritane, che estraggono le sacche ovariche dai muggini e le trasformano in bottarga. A loro la Maison della Nocciola Igp del Piemonte e lo chef Davide Scabin dedicheranno una splendida cena di solidarietà. A dimostrazione di come si può facilmente chiudere il cerchio delle produzioni agricole, Lavazza presenterà la nuova puntata del progetto “Tierra!”, una nuova tecnica per riciclare i fondi di caffè come fertilizzanti naturali nella coltivazione dei funghi. Il resto, che è tanto, tantissimo, dovrete scoprirlo da voi. Ricordate solamente di fare spazio in frigorifero e dispensa prima di partire. I cibi del mondo aspettano solo di venire ad allietare le vostre cene: buone, pulite e giuste.

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