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La Repubblica

Vino. La mezza bottiglia ora piace anche al Doc ... Piccolo è bello. Negli ultimi anni segnati dalla diminuzione costante nei consumi enologici, i produttori di vino hanno ridotto prezzi e formati cercando di cavalcare l’onda della nuova cucina, con i suoi sapori originali e diversi, perfetti per avvicendare i vini tra un piatto e l’altro. Un ragionamento semplice semplice: se la gente non vuol più spendere per comprare le tradizionali bottiglie da 75 cl in enoteca come al ristorante si spera faccia meno fatica a prezzi e quantità dimezzati. E arrivata così anche in Italia la politica del formato mini, sperimentata e acquisita fin dagli anni ‘50 in Francia, dove il piacere di assaggiare e cambiare vini meglio se di alto profilo fa parte della cultura alimentare del Paese: quella stessa cultura che induce anche i ceti sociali meno abbienti a regalarsi una tantum un pranzo in un ristorante stellato (non a caso il verbo se régaler è riferito ai piaceri enogastronomici). Passare dal sontuoso Petrus formato tascabile agli altrettanto strepitosi mini-Gaja, ha democratizzato il concetto stesso di degustazione: svincolato dall’obbligo della bottiglia intera, il mondo degli appassionati ha potuto sperimentare il piacere di confrontare grandi bicchieri di produttori diversi, a prezzi praticamente dimezzati. Coniugare finanze&curiosità enologica ha funzionato talmente bene, da indurre un numero crescente di cantine a produrre i formati da 37cl. Rapidamente, si sono adeguati anche wine-bar e ristoranti, con intere sezioni delle carte dei vini da quella monumentale dell’Enoteca Pinchiorri in giù dedicate in esclusiva a vini e Champagne a bottiglia dimezzata. Non tutti, però , si sono fatti travolgere dall’entusiasmo per il formato mini. Perché se è vero che i vini pregiati danno il meglio di sé nel formato magnum (150 cl.), ridurre il contenuto a un quarto difficilmente ne incrementa la qualità. Evidentemente diverso il discorso dei vini dolci, che per tradizione sono imbottigliati in quantità ridotte, quasi sempre non oltre il mezzo litro. Per questo, la scelta delle mezze bottiglie si è risolta spesso in un obbligo di presenza in quella fascia di mercato, mentre molti vignaioli grandi barolisti e brunellisti in primis hanno evitato di farsi coinvolgere. Sono stati loro, gli irriducibili dei tre quarti, i primi a godere delle macchine a compensazione di azoto. Arrivate sul mercato quasi alla chetichella, oggi rappresentano la longa mano dei sommelier, che possono sbizzarrirsi nel proporre supervini al bicchiere, tenendo lontano l’incubo dell’ossidazione peni liquido che rimane nella bottiglia. Funziona così: l’ossigeno che riempie il vuoto lasciato dal vino versato viene sostituito dall’azoto, gas inerte, che nulla cede e nulla consente. L’azoto che allo stato liquido ( -196°!) è ormai entrato in molte cucine d’autore per preparare meravigliose creme e praline all’istante garantisce al vino la conservazione di tutte le sue migliori caratteristiche per più di una settimana, dando ampio margine a camerieri e ristoratori di terminare la mescita della bottiglia. I primi esemplari di Enomatic , più funzionali che belli a vedersi, hanno faticato a trovare spazio tra gli arredi di design dei ristoranti-bomboniera più pronti a sposare la nuova tecnologia, tra menù con degustazione a bicchiere e piatti sfiziosi da scegliere in base all’innamoramento vinicolo del momento. Per fortuna, da ingombranti le nuove macchine si sono fatte sinuose e leggere, fino a ridursi al formato single , che permette di portare la bottiglia con il suo tappo all’azoto in tavola. Passerella d’onore nel padiglione Enolitech del Vinitaly che si apre il 2 aprile. Naturalmente, funzionano anche con le mezze bottiglie, per degustazioni piccole così.

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