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La Repubblica

Una speranza dal G8 agricolo ... Se son rose fioriranno. La proverbiale pragmatica prudenza contadina si trasforma in un auspicio guardando al documento conclusivo del G8 agricolo. Tredici punti che fanno ben sperare, mettendo in luce elementi di novità che stanno caratterizzando i lavori preparatori al G8 della Maddalena.

Certo la nuova presidenza americana sta sparigliando le carte su molti tavoli, ma non può essere assunta come unico motore del cambiamento. Piuttosto sembrerebbe in via di maturazione un’epoca: quella dell’inclusione, del confronto aperto, dell’attenzione alle ragioni altre. La globalizzazione, insomma, ma quella che usa le connessioni per mettere in collegamento le diversità e non per imporre modelli unici.

Era da un po’ di tempo che gli incontri multilaterali sembravano sempre destinati al fallimento: il Wto fa scuola in fatto di vertici inconcludenti, ma anche la conferenza Onu sul razzismo di questi giorni non scherza. I vari settori di interesse che verranno coinvolti nel G8 della Sardegna invece stanno da settimane lavorando alla preparazione di documenti condivisi: cosa interessante nel metodo, oltre che nel merito.

Al G8 agricolo si sono ascoltate anche le voci di coloro che non saranno presenti al tavolo ufficiale, ma soprattutto, i rappresentanti degli Otto hanno ricevuto da molte fonti gli input necessari per ragionare di agricoltura in termini complessi.

Il documento che è scaturito segna dunque un momento importante: non tanto perchè offre risposte, quanto perché finalmente pone al centro dell’attenzione questioni che non potevano più svolgere un ruolo ancellare rispetto alla politica dettata dalle economie classiche.

A cominciare dall’articolo 1: la frase “agricoltura e sicurezza alimentare sono al centro dell’agenda internazionale” chiarisce che il cibo non è elemento settoriale, ma questione politica di ampio respiro. Mentre siamo alle prese con tre crisi epocali - energetica, climatica e finanziaria - capire finalmente che la produzione e il consumo del cibo sono fattori decisivi, che contengono la risposta complessa al problema complesso, non è cosa da poco. I dodici articoli che seguono parlano di sostenibilità, coerenza, investimenti, sviluppo, ricerca, energie rinnovabili. Mettono in guardia dalle possibili distorsioni che possono essere arrecate da speculazioni finanziarie e commerciali, da filiere fuori controllo, da mercati mal funzionanti. Si centra l’attenzione sulla piccola scala, e sul ruolo insostituibile delle aziende agricole familiari, dei piccoli agricoltori. Si menziona finalmente l’importanza, per il futuro dell’agricoltura, del ruolo delle donne e della necessità di favorire il ricambio generazionale.

Resta il dubbio su come si possa conciliare un sempre invocato - e il nuovo documento G8 non sfugge alla regola - aumento di produzione con la lotta a quello spreco che infesta le economie consumistiche dei paesi occidentali e occidentalizzati. È voler curare un male con il principio del male stesso: ricordo che, secondo i dati Fao, sul Pianeta produciamo cibo per quasi 12 miliardi di persone mentre lo abitiamo in circa 7 miliardi. Forse prima di aumentare la produzione sarà necessario verificare se i sistemi di distribuzione funzionano male o sono iniqui, se le economie di piccola scala e di sussistenza non sono minacciate dall’agri-businnes globale (proprio quello che fa degli aumenti di produzione la sua principale ragione di vita).

Mentre mi chiedo perché si perde sempre l’opportunità di dare ai saperi tradizionali dei popoli la stessa dignità che si dà alla scienza, alla tecnologia e alla ricerca, credo però sia davvero necessario supportare questo documento e vigilare per capire quanto forte sarà l’imprescindibile collegamento tra queste dichiarazioni e le azioni concrete di organizzazioni internazionali come la Fao, il Cgiar, il Wto, la Banca Mondiale e in generale le Nazioni Unite. Ora devono fare la loro parte.

Intanto possiamo considerare i tredici punti come la testimonianza che il lavoro di tanti gruppi, associazioni ed individui in questi ultimi vent’anni non è stato vano, e attendiamo che con una certa sollecitudine si passi dalla teoria alla pratica. Due cose che, occorre ricordarlo, sono ben diverse tra di loro.

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