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La Repubblica

Vini eroici ... Bicchieri d’autore strappati alla terra... Dalla fatica feroce di una viticoltura estrema, di casa sui terrazzamenti a picco sul mare o sulle valli alpine, nascono bottiglie di culto: piccole, pregiate produzioni che al palato narrano la difficile e affascinante geografia del nostro Paese, dalla Val d’Aosta alle isole della Sicilia. Ecco alcuni buoni esempi: basta berne un calice per convincersi... Nella seconda novella della decima giornata dei Decamerone, si racconta come Ghino di Tacco abbia curato l’abate dl Clignì con due fette di pane arrostito e un gran bicchiere di vernaccia da Corniglia...”. Nel Quattrocento, Giovanni Boccaccio era pronto a giurare sulle qualità terapeutiche del vino delle Cinque Terre. Così buono da far dimenticare la fatica feroce di una viticoltura risucchiata tra mare e montagna: terrazzamenti larghi una spanna, viti costretti a sprofondare le radici per trovare un po’ di nutrimento, l’sola benigna del mare trasformata in salsedine malefica appena si alza il vento. È un primato condiviso, quello della Liguria. Troppo stretto, il nostro stivale, per godere di un’agricoltura facile, terre distese e messi a perdita d’occhio. Se si esclude la larga piana del Po, campi e campagne possono essere identificati come un incredibile puzzle contadino, dove ogni tassello vale un’oncia di raccolto in più, ogni fazzoletto d’erba una possibile semina, ogni microscopico ritaglio sulla carta geografica la speranza di ricavare sostentamento dalla terra. Così, dalle vallate appoggiate all’ombra del Cervino ai prati dolomitici, dalle gole strette della Lunigiana alle pomici di Pantelleria, chi abita una natura complicata, difficile, sa come conviverci, se non come dominarla. In molti, casi la necessità di nutrirsi hadato origine ad alimenti poveri & squisiti, dal castagnaccio alla polenta taragna, dall’uva passa ai formaggi d’alpeggio. Ma non esiste pianta più affine alle rudezze agricole della vite. Dicono gli agronomi che ha la sofferenza nel dna: più patisce e meglio produce, guai a renderle facile la vita. Chi ha visitato certe placide, sontuose vigne californiane, o ammirato le infinite sequenze di grappoli e pampini delle campagne australiane rabbrividisce all’idea di come sia possibile strappare a rocce e sabbia una spanna di verde, da trasformare in bicchieri d’autore. Eppure succede ogni giorno, tra uve dimenticate da salvare e nuove varietà che colture estreme hanno reso meno ruffiane e più vere. Chi coltiva apre un ventaglio di scommesse: sulla propria tenacia, sulla benevolenza della terra, sulla possibilità di tradurre la sfida in bianchi e rossi meritevoli. Perché la viticoltura estrema non dà chance di ricchezza a chi la pratica: poche migliaia di bottiglie prodotte, a fronte di un pratica dura, tecnicamente difficile. Nessun trattore a lavorare laterra, nessun aiuto dalla tecnologia enologica, l’equilibrio precario e le schiene accartocciate per vendemmiare viti schiacciate al suolo dai venti. A metterli in fila, i vini figli dell’agricoltura estrema sono incredibilmente diversi: microclima, terroir e mano dell’uomo fanno sì che si possa coprire un intero menù, dai freschissimi bianchi alpini ai seducenti passiti isolani, rossi tannici e robusti da selvaggina o densi come succo di ciliegia per il cioccolato. Strepitosi, ma solo a patto di non pensarli uguali agli altri. Eroici, magnifici, imperfetti, originali, selvaggi. Annusare per credere, possibilmente seduti su uno scoglio o con vista sui ghiacciai.

Il siciliano AntonioRallo, figlio del fondatore Giacomo, è l’agronomo di “Donna Fugata”. Oltre ai vini della tenuta di Contessa Entellina, suo il magnifico passito “Ben Ryé’ simbolo della viticoltura estrema di Pantelleria.

Chardonnay Cuvée Bois. Les Cretes, Aimavilles (Ao). Vigneti frammentati e viti vicine per sfruttare al meglio le pendenze dei terreni morenici, sulle propaggini delle alpi valdostane. Vendemmia tardiva per il dorato, elegante Chardonnay fermentato in legno.

Sassella Sassi Solivi. Cooperativa Triasso e Sassella (So). La parte alta del corso dell’Adda è orientata da est a ovest (e non da nord a sud). Risultato: microclima mite e piogge scarse, mix perfetto per un Nebbiolo (detto Chiavennesca in Valtellina) di grande forza e aromaticità.

Etna Rosso Quota 600. Graci, Castiglione di Sicilia (Ct). Abbarbicate sulle pendici dell’Etna, le viti crescono grazie ai terrazzamenti e ai muri a secco di pietra nera lavica. Accanto agrumeti e meleti. Bianchi e rossi hanno impronta minerale, sapida, originalissima.

Cinque Terre. Agr. Cinque Terre, Riomaggiore (Sp). Agavi e fichi sono contrappunto d’ombra e confine ai terrazzamenti delle viti tra Riomaggiore e Monterosso. Da Vermentino, Bosco e Albarola arrivano sia il profumato bianco che il liquoroso Sciacchetrà.

Feldmarschall. Tiefenbrunner, Cortaccia (Bz). Argilla e calcare nelle vigne che si arrampicano sulle falde delle Dolomiti, fino ai limiti della sopravvivenza (poco sopra quota mille). Dal Müller Thurgau, si ottiene un vino bianco floreale, strutturato, di grande freschezza.

Cristino. Azienda biologica La Piana, Capraia (Li). Bassi rendimenti e terreni difficili - da cui il nome etrusco capre, pietre - nella terza isola dell’arcipelago toscano (dopo Elba e Giglio). Dall’uva Aleatico, appassita sui graticci, viene il rosso da meditazione amato da Napoleone.

Fiorduva. Marisa Cuomo, Furore (Sa). Cantine scavate nella roccia, vigne striscianti su dirupi calcarei e terrazzamenti a picco sul mare della Costiera amalfitana: uve autoctone surmature (Fenile, Ginestra e Ripoli), per un bianco molto avvolgente morbido, aromatico.

Piedefranco. Cantina Sociale, Calasetta Sant’Antioco (Ca). Il Carignano, importato dai fenici in Sardegna duemilasettecento anni fa, ama sabbia, vento e salsedine. Dalla sua coltivazione con la radice originale (piede franco) nasce un vino rosso importante, armonioso e di grande forza espressiva.

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