02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

La Repubblica

I vignaioli che salveranno il vino buono ... La crisi ha fatto crollare il prezzo delle uve, anche del 50%. E a pagarne le conseguenze sono soprattutto i piccoli produttori. La loro carta vincente è il ritorno alla natura. E ora in mille, in arrivo da tutta Europa, si ritrovano in Italia. Per stilare il manifesto della resistenza... Dice che il vignaiolo è come un fabbro, un falegname. “Siamo artigiani che fanno ilvino e speriamo che tutti ci dicano: questi fanno bene il loro lavoro”. Ampelio Bucci produce verdicchio. “Un vino fatto bene, con passione e cultura. Un vino buono, con una sua personalità. Ecco, solo la personalità del vino ci permetterà di continuare ad esistere e fare cose buone, senza essere sommersi da vini senz’anima che arrivano dall’Italia e da ogni parte del mondo”. Ampelio è uno dei mille vignerons d’Europe che da venerdì si troveranno a Firenze per parlare del loro mestiere e raccontare a tutti che esiste ancora il vino buono, che non è quello di una volta ma non è nemmeno quello industriale che viaggia in cisterne e finisce dentro al tetrapak. È questo vino a pagare più caro lo scotto della crisi. I prezzi delle uve sono crollati, in qualche caso anche del 50 per cento. E si deve correre ai ripari. In Toscana per dieci giorni si svolgeranno convegni, confronti, lezioni e degustazioni per discutere - su invito di Slow Food - di “vitivinicoltura sostenibile”. I coltivatori - arriveranno dalla Francia e dalla Romania, dalla Germania e dalla Lituania - saranno ospitati nelle case dei piccoli produttori toscani. “Noi vignaioli - dice Ampelio Bucci - siamo un po’ gelosi l’uno dell’altro. Con il vicino di podere spesso non si parla, perché la concorrenza è forte. L’appuntamento “Vignaioli & Vignerons”, promosso insieme con la Regione Toscana, ci permette invece di superare i piccoli e grandi confini. Io insegnerò a un coltivatore romeno come si costruisce un mercato serio e competitivo e lui magari mi racconterà come si combatte l’oidio, il fungo delle viti”. Il primo convegno dei vignerons si è svolto a Montpellier due anni fa. Si cominciò allora a discutere di vino e cambiamenti climatici, di cantine e agricoltura sostenibile. Si affrontò anche il tema della globalizzazione del mercato e dei prezzi. Riusciremo - si chiesero i vignaioli - a reggere la concorrenza, con le nostre piccole botti contro le navi-cisterna? Le preoccupazioni di allora si sono purtroppo trasformate in certezze. I prezzi delle uve, nell’ultima vendemmia, sono crollati. Il frascati, secondo i dati della Coldiretti, è stato pagato 23 euro al quintale, 45% in meno rispetto al 2008. Il nebbiolo 180-200 euro al quintale, con un calo del 30-35%. Meno 30% per il chianti classico, meno 40% per l’Aglianico... Non è necessario essere profeti per prevedere, per i vigneti un futuro a rischio. È già successo in altri pezzi del mondo agricolo. ll crollo del prezzo del grano ha portato una diminuzione del 30 per cento delle semine di quest’anno. Il crollo del prezzo del latte ha portato tante vacche al macello. A leggere il primo Manifesto dei Vignaloli in terra francese fu Costantino Charrère, presidente della federazione italiana vignaioli indipendenti, con terre in Valle d’Aosta. “Ci hanno chiamato - dice - “vignaioli eroici”, perché continuiamo a produrre uva su terreni di montagna. E cerchiamo di farlo nel modo migliore. Si parla tanto di biodiversità, ma passare ai fatti non è semplice. Noi ci abbiamo provato. Abbiamo recuperato i vitigni del fumin, del majollet, del blanc de Morgeaux, della premetta... Da queste viti nascono vini che già sono ricercati da consumatori che si sentono nostri complici, perché rifiutano l’appiattimento del gusto. Certo, tirare avanti non è facile. Qualche numero può spiegare le nostre difficoltà. Per un ettaro di vigneto in montagna in un anno servono 1.200 ore di lavoro. In pianura, ad esempio in Puglia dove c’è la raccolta meccanizzata, bastano 300-400 ore. In Australia, dove tutto è meccanizzato, servono appena 25 ore. Nella nostra Val d’Aosta un chilo d’uva, a noi produttori, viene a costare 2,5 euro al chilogrammo. Per questo il consumatore paga una bottiglia fra i 5 ed i 10 euro. Solo il confezionamento si porta via 70-80 centesimi. Con la nostra produzione evitiamo che tanti territori siano abbandonati e creiamo occupazione anche in questi areali a rischio di abbandono. Poi facciamo una visita in un supermercato e scopriamo che ci sono bottiglie invendita a 1,50 euro, soprattutto di vino che arriva da Australia, Argentina, Cina. Sappiamo che a Londra - è il mercato che detta i prezzi in Europa - il vino in navi-cisterna viene pagato 0,40 euro al litro. Questa invasione non si può fermare. L’unica strada è quella di allargare la schiera dei clienti pronti a spendere qualcosa in più, perché del fumin e della premetta non resti solo il ricordo e perché i rovi e i cespugli non conquistino le magre terre dei nostri vigneti”. Il ritorno alla natura è la carta, si spera vincente, dei vignaloli. “Io non so - dice Ampelio Bucci, che produce 90 mila bottiglie di verdicchio biologico - se il mio vino sia più buono di altri. Certamente, dentro la bottiglia ci sono meno residui chimici. La nostra scelta di un’agricoltura naturale non è ideologica. Non siamo nemmeno una setta. Cerchiamo di fare un vino naturale con tecniche che non sono quelle dei nostri nonni ma sono state inventate venti o trent’anni fa. Per catturare i maschi della tignola, ad esempio, usiamo trappole che sembrano una carta moschicida. Sono impregnate di feromone femminile. Per eliminare l’oidio o mal bianco, che è un fungo pericoloso che prima veniva eliminato con potenti anticrittogamici, assieme allo zolfo si usa un altro fungo. Scegliere la qualità è impegnativo. Nel disciplinare del verdicchio si prevede una produzione di 140 quintali per ettaro e io ne produco solo 70. Basta questo per giustificare prezzi più elevati”. Non sono soltanto la tignola e il mal bianco i nemici dei vignerons. “Fare vino è difficile. Ci vuole sapienza e anche fortuna: se piove troppo o nei momenti sbagliati, se grandina, tutto va a rotoli. Ma ci sono nuovi “agricoltori” che investono nel vino come se giocassero in borsa. Comprano vigneti, costruiscono cantine luccicanti, assumono pr che si danno da fare sulle riviste e sui giornali...”. Fino a un anno fa il mercato del vino era un Bengodi. “In Toscana c’erano aziende che come primo prezzo, quello delle cantine, vendevano bottiglie a 26 euro. Ora i prezzi si sono fermati e c’è chi ha calato i pantaloni. Le bottiglie da venti euro ora si trovano a dieci. Io spero che questa crisi serva almeno a cacciare via quelli che investono nel vino come se le cantine fossero fabbriche di scarpe”. Sono 700 mila le aziende vitivinicole italiane. “In questo numero - dice Domenico Bosco, responsabile vino della Coldiretti - ci sono anche i contadini che hanno una vigna per consumo personale. Le aziende imbottigliatrici sono 35 mila e circa i due terzi sono piccole o medie aziende, con produzioni inferiori ai 500 ettolitri. Ma il mercato viene deciso dalle grandi aziende, alcune delle quali non hanno vigneti ma mettono in bottiglia vini e mosti che arrivano da ogni parte del mondo”. È già tempo di potature, nelle vigne delle Fattorie Vallona, sui colli bolognesi di Castello di Serravalle. “Le viti - dice Maurizio Vallona - vanno curate come fossero bimbi piccoli. Con le potature finiremo a marzo. Non so se noi vignaloli, io produco 1.500 ettolitri di pignoletto, chardonnay, sauvignon, riusciremo a resistere. In campagna servono amore e creatività, ma anche tecnica e mercato. Noi stiamo abbastanza bene perché abbiamo capito che fare un buon vino non basta, bisogna anche saperlo vendere. Ci siamo creati una clientela fedele perché, in tempi di vacche grasse, non abbiamo speculato. Ma per tanti colleghi vedo un futuro nero. Tre anni fa le nostre uve erano pagate 80 centesimi al chilo, quest’anno il prezzo è crollato. Se trovi un acquirente privato, porti a casa 40 centesimi. Se porti le uve alla cantina, sei pagato 30 centesimi. In collina si fanno 90 quintali per ettaro. Se vendi a 0,40 euro, per un ettaro incassi 3.600 euro. Questa cifra è esattamente la metà di ciò che spendi nel corso dell’anno, dalla potatura alla vendemmia. Per un anno puoi resistere, ma solo per un anno”. Estirpare le viti è come portare le vacche al macello. Anche se il mercato riprende, le cisterne del latte saranno secche e le botti saranno vuote.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su