02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

La Repubblica

La storta di Slow Food tra sapori e filosofia ... Esce un saggio dell’inglese Andrews sul movimento di Carlo Petrini... Dalla tartaruga di Zenone alla chiocciola di Slow Food. Sono i paradossi della storia. Quelli che fanno dell’andamento lento un manifesto contro la velocità fine a se stessa. Chi va piano, insomma, va sano e va lontano. In filosofia come a tavola. Lo dice Geoff Andrews, giornalista e scrittore inglese nel suo ultimo libro “Slow Food. Una storia tra politica e piacere” in uscita dal Mulino (pagg. 222, euro 15). E proprio politica e piacere sono le parole chiave che spiegano il successo di un movimento trasversale come quello fondato da Carlo Petrini. Un’ascesa che inizia negli anni Ottanta, quelli di Cernobyl e del vino al metanolo, quando si recitava il “de profundis” per la scomparsa dei sapori d’antan. E tutti sembravano rassegnati a subire ogni capriccio della modernità in nome della necessità del cambiamento. In quel contesto di globalizzazione incipiente e di fast food trionfante un’avanguardia di bastian contrari decide di remare contro l’onda yuppie e il cibo spazzatura imperanti, in nome del gusto italiano e del mangiare genuino, a difesa delle biodiversità alimentari e delle cucine locali. E le Langhe di Pavese e di Fenoglio diventano il luogo simbolo di una nuova resistenza. È il triangolo Bra, Alba, Barolo il quartier generale del nuovo movimento. Che fa entrare il piacere nella sfera dei diritti predicando un epicureismo ben temperato. Lontana anni luce dalla superficialità patinata dell’edonismo reaganiano, la filosofia di Petrini & co. valorizza il passo lungo delle economie di piccola scala sopraffatte dall’irruenza del mercato globale. In realtà quella che all’inizio poteva sembrare una confraternita di ghiottoni nostalgici si rivela col tempo un’avanguardia in grado di intercettare domande lasciate senza risposta dalla politica tradizionale. Temi la qualità della vita, l’ambiente, il biologico, lo sviluppo sostenibile e i nuovi stili di vita. Il Manifesto di SlowFood, redatto nel 1987 da Folco Portinari, fa del piacere il mattone di un nuovo modello culturale che trasforma il vivere slow in un obiettivo militante. È questa capacità di interpretare sogni e bisogni del presente a spiegare il successo trasversale dell’associazione che, superato il localismo elitario degli inizi, riesce ormai a tenere insieme destra e sinistra, contadini e no global, intellettuali e ristoratori, impiegati e braccianti, gourmet del primo mondo e agricoltori diseredati del terzo. Produttori di eccellenze e consumatori riflessivi. Tutti sulla stessa barca, da Carlo d’Inghilterra al campesino delle Ande. Oggi il popolo di Slow Food è fatto da milioni di individui, di comunità, di condotte, di presìdi che diffondono in ogni angolo del pianeta la buona novella alimentare. Che ha trovato due ambasciatrici d’eccezione in Alice Waters e Vandana Shiva, la pasionaria di Berkeley e l’ecofemminista di Bangalore. La prima, che arriva dalla cultura alternativa della California anni Sessanta, ha fatto del suo mitico locale “Chez Panisse” l’autentico Alice’s Restaurant della cucina ecocompatibile. Arrivando a convincere Michelle Obama a piantare un orto nel giardino della Casa Bianca. Mentre la carismatica “maharani” dell’economia verde ha aperto il movimento alle tradizioni e alle produzioni dei Sud del Mondo. E soprattutto alle loro ragioni. Che hanno trovato in Slow Food una mano tesa e in quella rete planetaria di produttori di cibo che si chiama Terra Madre un laboratorio di idee e un terreno solidale. A riprova del fatto che i grandi mutamenti sociali hanno spesso nella gastronomia una leva potente. E che l’associazione fra politica ed equa distribuzione dei piaceri non è affatto peregrina. Non a caso l’uomo che ha inventato la gastronomia, Anthelme Brillat-Savarin, autore della “Fisiologia del gusto”, fu un protagonista della rivoluzione francese. Insomma, conclude Geoff Andrews, quella di Petrini è una ricetta assolutamente politica che mescola sapientemente quel che resta di Marx, quanto basta di Toqueville con una spolverata di Stuart Mill su una base di anticapitalismo moderato, di individualismo estetico, di idealismo universalista e di sano localismo. Una quadratura del cerchio che fa di Carlo Petrini “l’ideologo” della globalizzazione virtuosa.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su