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La Repubblica

La lotta di potere che minaccia le nostre tavole ... Le multinazionali del transgenico dopo piante e sementi puntano ora a brevettare bistecche, prosciutti e costolette. La prima è stata la Monsanto: ha registrato un mangime geneticamente modificato e vuole i diritti anche sui maiali che lo mangeranno. Ma c’è chi è già pronto a dare battaglia... Io non ci credo che brevetteranno anche i broccoli e il maiale. Non ci credo perché, nonostante tutto, di fiducia nell’uomo me ne è rimasta. Se mi vengono a dire che un maiale vivo e grufolante o morto e grigliabile che sia può diventare proprietà intellettuale di una multinazionale per trarne provvigioni, io subito tendo a pensare che siamo in un libro di Isaac Asimov, non nella realtà. Fantascienza: non perché sono contro la scienza e penso ascientifico o perché ho un principio di rimbambimento che mi fa cadere in preda a paure insensate. Nemmeno perché parlo solo per costrutti ideologici e provo un’inguaribile nostalgia del passato. Mi sembra semplicemente assurdo. Un attentato così grande alla nostra libertà non ci può essere servito in modo così subdolo e pure un po’ ridicolo. “Se del maiale non si butta via niente allora prendiamoci tutto!” avranno detto mentre inoltravano richiesta di brevetto. Non voglio pensare che ci credano così stupidi e che ci sia qualcuno di così stupido da accettarlo. La richiesta di brevettare il cibo “oggetto”, e quindi l’interezza della pianta o dell’animale destinati al piatto, per quanto balzana possa sembrare non è la prima volta che salta fuori e ora è sul tavolo di chi deve decidere in merito. Da qui emerge soltanto un’inequivocabile verità. Il solo fatto che questa richiesta esista svela le reali intenzioni delle multinazionali dell’agroalimentare: vogliono impossessarsi in tutti i modi del cibo; anche fisicamente. Vogliono diventarne padroni fin nella sua anima. Nel loro progetto di lungo periodo non a caso è inserita anche l’acqua. Lo fanno perché vogliono disporre ancora più in profondità delle nostre vite di consumatori, delle nostre esistenze alienate, senza lasciarci più possibilità di scelta. Per favore, non mi si venga più a dire che sotto c’è dell’altro, tipo buone intenzioni per il nostro benessere, la nostra salute (ormai gli Omega 3 sembrano la panacea di tutti i mali) o la soluzione alla fame nel mondo. Che grazie ai loro prodigi c’è la possibilità di aumentare la produzione del cibo su un pianeta che già produce, secondo dati ufficiali, quasi il doppio del cibo necessario a sfamare tutti i suoi abitanti. La storia della brevettabilità degli esseri viventi, a prescindere da ogni considerazione etica o scientifica dagli ibridi agli Ogm, fino a questi surreali tentativi di brevettare il grasso che un maiale porta dentro il proprio corpo è la storia di una strenua lotta di potere. Una battaglia condotta con una lucidità e una determinazione che vanno al di là dell’immaginazione e delle forze dell’uomo comune. È una storia che non nasconde fini nobili, sia chiaro: anche se qualche scienziato o qualche agronomo che lavora con loro potrà esserne candidamente animato, dovrà invece iniziare a rendersi conto che la sua nobiltà d’intenti è usata in ultima analisi per prendere possesso delle nostre vite. Quale modo migliore per impadronirsi del mondo se non ottenendo il controllo di ciò che è indispensabile alla vita, quindi della vita stessa? La frase del blogger americano... ...fa amaramente sorridere ma centra in pieno il problema: “Allora, se mangio quella pancetta, divento anch’io proprietà Monsanto?” È questo il punto, è questo che sta dietro anche agli Ogm, ai brevetti sui semi, sugli ibridi e sui principi attivi delle piante. Dire no alla brevettabilità della vita significa prima di tutto dire no al tentativo di instaurare una dittatura planetaria che vuole rubarci la sovranità alimentare. Il diritto/dovere di “proteggere, sostenere e supportare tutte le condizioni necessarie a incoraggiare una produzione alimentare abbondante, sana, accessibile a tutti e tale da conservare la terra, l’acqua e l’integrità ecologica dei luoghi in cui viene prodotta, rispettando e sostenendo i mezzi di sussistenza dei produttori” riguarda tutti e deve diventare inviolabile e universale. Non è soltanto un problema delle povere comunità del Sud del mondo, di quelli che fanno fatica a mettere insieme due pasti al giorno. Riguarda anche noi, che infatti spesso facciamo fatica a capire cosa finisce esattamente nei nostri piatti o da dove proviene. Dire no significa cercare di stoppare un modello economico-politico che è soprattutto una strategia perversa di potere. Potremmo dibattere senza fine sui principi etici, sulle ideologie e pregiudizi, su dati scientifici citando cascate di ricerche più o meno autorevoli ad uso di quello che preferiamo sostenere. Ma a pensarci bene, forse, è proprio perdendoci in dibattiti infiniti che facciamo il gioco di questi soggetti. Noi litighiamo nel pollaio e loro intanto provano a rubarci la libertà, non soltanto quella di scegliere, parlare, avere opinioni: quella di esistere degnamente. Noi tentiamo di dimostrare con certezza se gli Ogm fanno male all’uomo, all’ambiente o alla biodiversità e loro, quasi di soppiatto, cercano di brevettare il maiale. Io continuo a credere che non ci riusciranno, ma è pur vero che loro continuano a provarci.

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