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La Repubblica

La complicata opera di semplificazione terminologica dovrebbe essere compiuta alla fine del 2010 A idearla il direttore dei Royal Botanical Gardens: troppi i nomi sovrapposti negli anni per le stesse specie... I botanici rifanno i conti cancellate 600mila piante ... Un’imprecisata mattina del prossimo dicembre ci sveglieremo e scopriremo che 600 mila specie di piante non esistono più, cancellate da un giorno all’altro. Non è la previsione di una sciagura legata a un disastro planetario, ma un’opera di semplificazione terminologica programmata dai blasonati botanici del Royal Botanical Gardens di Kew (sud-ovest di Londra) e del Missouri Botanical Gardens. Spulciando gli archivi che si sono andati gonfiando nei secoli man mano che nuove informazioni si sovrapponevano alle precedenti, hanno scoperto che le fondamenta del sapere botanico erano farcite di sovrapposizioni, diverse denominazioni della stessa pianta, differenziazioni meramente linguistiche. E hanno deciso, dopo due anni di studi, di ripulire l’indice. Magari qualcuno ci aveva già pensato, ma il lavoro doveva essergli apparso improponibile per la complessità e la mole dei dati da analizzare. Utilizzando la potenza attuale dei sistemi informatici, la squadra guidata da Stephen Hooper, direttore del Royal Botanical Gardens, è invece riuscita a venire a capo dell’impresa che si concluderà entro la fine dell’anno riducendo il numero delle specie censite da oltre un milione a circa 400 mila, senza considerare le felci e le alghe. Una prova di efficienza che va al di là della stretta finalità classificatoria. “Senza nomi accurati”, ha dichiarato Hooper, “il sistema di conoscenze in campo botanico sprofonderebbe nell’inefficienza e nel caos”. E in effetti il progetto è stato sollecitato durante la riunione della Convenzione sulla biodiversità del 2002 perché, in assenza di un quadro scientifico affidabile, è molto difficile misurare i danni prodotti dalla distruzione degli habitat e dal cambiamento climatico che stanno accelerando in modo drammatico la scomparsa reale delle forme di vita: secondo l’agenzia delle Nazioni Unite che raccoglie le informazioni sulle piante in via d’estinzione, il 70 per cento delle specie vegetali è in pericolo. “Già Linneo, che possiamo considerare l’inventore della moderna classificazione, diceva che se non si conoscono i nomi delle piante si rischia di farle morire”, ricorda Paola Lanzara, responsabile dell’orto botanico di Roma. E Francesco Maria Raimondo, direttore del dipartimento di scienze botaniche dell’università di Palermo, aggiunge: “In realtà si ritiene che le specie vegetali esistenti siano 300 mila, si arriva a 500 mila inserendo alghe e funghi. Ma l’elenco si è allungato nei secoli per problemi nominalistici e anche perché prima si tendeva a considerare in modo più ampio il confine di una specie, mentre negli ultimi decenni è prevalsa una classificazione più minuziosa. Faccio un esempio: Linneo definiva abies alba, abete bianco, anche specie che oggi vengono considerate a se stanti come l’abies nebrodensis”. Ma quanto incidono sulla confusione dei numeri gli errori di catalogazione? Si può provare a rispondere prendendo in esame le 6 specie più comuni di Plectranthus, un parente del basilico: l’80 per cento delle informazioni disponibili verrebbe perso se ci si limitasse a cercare sotto il nome più comunemente usato. Al di là delle disquisizioni sulla purezza classificatoria, la posta in gioco riguarda la possibilità di misurare e dunque di utilizzare un patrimonio inestimabile dal punto di vista agricolo e ambientale, ma anche prezioso come cassaforte dei principi attivi utilizzati dall’industria farmaceutica. “Circa la metà dei prodotti farmaceutici ha un’origine naturale, comprese 10 delle 25 medicine più vendute negli Stati Uniti”, ricorda Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace. “La foglia del ginko contiene sostanze che si sono rivelate molto utili nella cura di malattie cardiovascolari e tra i prodotti che si utilizzano nella lotta contro il cancro il 42 per cento è di origine naturale e il 34 percento è di origine in parte naturale. Inoltre in Cina 5 mila delle 30 mila specie di piante censite sono usate a fini terapeutici. Conoscere meglio il panorama generale della botanica può dunque aiutarci a salvare, assieme alle foreste, i principi attivi che offrono una speranza nella battaglia contro mali considerati ancora incurabili”

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