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La Repubblica

Agroenergie in campo contro l’inquinamento ... Gli scarti delle coltivazioni e i residui zootecnici, integrati con colture specifiche, sono alla base della produzione del biogas e del biodiesel e certamente possono contribuire a fornire fino al 20% dell’energia rinnovabile che l’Italia si è impegnata a realizzare entro il 2020. Con l’aiuto di stanziamenti europei... In fondo si tratterebbe di un ritorno al passato, di recuperare l’antica saggezza contadina che suggeriva di non buttare mai via nulla, trasformandolo di volta in volta in concime o cibo per galline e maiali. In palio oggi non ci sono però raccolti più ricchi o l’allevamento di animali più grassi e saporiti, ma la produzione di energia pulita. Gli scarti delle attività agricole e i residui zootecnici, integrati con colture specifiche, potrebbero contribuire infatti a fornire sino al 20% dell’energia rinnovabile che ci siamo impegnati a produrre entro il 2020 (il 17% del totale) in base alla direttiva dell’Unione Europea su clima ed energia. A indicare questo incoraggiante scenario è un recente rapporto realizzato da Nomisma in occasione del Forum di Confagricoltura svoltosi la scorsa primavera a Taormina. La ricerca sulle bioenergie in Italia realizzata dal centro studi bolognese sottolinea le enormi potenzialità del settore, sia che si realizzi quello che viene definitolo scenario “ottimistico”, sia che ci si limiti in maniera miope a quello pessimistico . Nel primo caso a essere sfruttata sarebbe la metà delle potenzialità rinnovabili in agricoltura. Una quota che garantirebbe al settore non solo l’autosufficienza energetica, ma addirittura la possibilità di creare valore, in un’ottica di burden sharing tra settori produttivi. In questo caso, come già detto, la produzione di energia andrebbe a coprire quasi il 20% dell’energia verde prevista in Italia nel 2020, con 4,2 mtep (ovvero 4,2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) e il 128,8% di energia verde sul totale del consumo agricolo. Nel secondo caso lo sfruttamento interesserebbe solo un quinto del potenziale teorico, producendo comunque una performance energetica mille volte superiore a quella attuale. In questo quadro il risultato sarebbe equivalente a 1,7 mtep, un dato che arriverebbe a coprire circa la metà dei propri consumi (e l’1,2% dei consumi finali nazionali). Le strade che l’agricoltura può percorrere per diventare protagonista di un sistema energetico sostenibile sono essenzialmente tre. La prima e più promettente al momento sembra essere la produzione di biogas (da bruciare e trasformare in energia elettrica) realizzato attraverso la fermentazione delle biomasse degli scarti agroindustriali (ad esempio le parti inutilizzabili di frutta e verdura) o dei liquami prodotti dagli allevamenti. In secondo luogo gli scarti agroindustriali possono essere bruciati direttamente (oltre agli ormai affermati pellet vanno benissimo ad esempio anche i noccioli e i gusci di frutta secca). Infine dalla terra è possibile ricavare piante ricche di grassi o di zuccheri da trasformare rispettivamente in biodiesel o etanolo, anche se in questo caso è necessario vigilare sul loro reale bilancio energetico (devono produrre più energia di quella necessaria per coltivarli) e sul fatto che non sottraggano terreno alle colture a scopo alimentare. Come avviene per tutti gli studi su fonti rinnovabili e green economy, anche quello di Nomisma sulle agroenergie sottolinea una serie di difficoltà legate alla sfera politico - normativa: l’assenza di una programmazione certa e di lungo periodo per gli incentivi (attualmente bloccati da revisioni triennali che rallentano lo sviluppo del settore), la mancata emanazione di un decreto legge sugli obblighi italiani a livello regionale, l’assenza di un sistema incentivante per l’energia termica da rinnovabili. Un primo importante passo avanti è stato compiuto infatti nell’aprile 2009 con l’entrata in vigore dell’incentivo che riconosce 28 centesimi per ogni chilowattora prodotto dagli impianti a biogas inferiori al MW di potenza. Un provvedimento che ha fatto crescere queste strutture del 77% rispetto al numero registrato nel 2007. Si tratta di valori che restano però ancora di nicchia, visto che si è passati da quota 154 a 273 (una parte dei quali ancora in via di ultimazione). “Il quadro che emerge dalla ricerca di Nomisma - commenta il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni - è in linea con le politiche Ue in materia di agricoltura e ambiente. 137 miliardi di euro in 5 anni messi a disposizione dalla Pac per i servizi ambientali testimoniano la centralità del settore in ottica ecosostenibile ma non bastano: occorre creare un sistema incentivante per l’agricoltore che tutela il bene pubblico”. Un aiuto al decollo dell’agroenergia potrebbe arrivare nei prossimi mesi proprio dall’Unione europea che attraverso i Fondi di sviluppo regionale ha recentemente deciso di lanciare il progetto Sebe (Sustainable and Innovative European Biogas Environment). L’obiettivo dello stanziamento pari a 2,6 milioni di euro è quello di ottenere anche negli altri stati membri il boom conosciuto da questa fonte rinnovabile in Germania dove gli impianti a biogas già installati sono arrivati ad essere circa cinquemila. Referenti italiani dell’iniziativa sono l’Environment Park di Torino e il Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia.

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