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La Repubblica

Un paese di santi, eroi e viticoltori ... Negli ultimi decenni i produttori hanno lavorato sugli aspetti poetici, estetici e sensoriali del vino: qualità, gusto, profumi... E i vini italiani sono migliorati molto. Oggi però urge affrontare un tema più prosaico come il mercato, problema che ha sorpreso il settore del vino: negli ultimi anni, infatti, i viticoltori si sono trovati impreparati non a fare il vino, ma a venderlo. E’ vero che il mercato si è allargato a tutto il mondo. In compenso, la stessa globalizzazione ha portato quasi tutto il mondo a produrre vino, spesso con regole semplificate rispetto alle nostre. Questi vini utilizzano soprattutto i cosiddetti vitigni internazionali: cabernet, merlot, chardonnay e pochi altri, con la strategia di offrire prodotti già noti al consumatore, che si troverà a confrontare lo chardonnay californiano con quello australiano, cileno o siciliano. Think global and act local, pensa globale e agisci locale, è lo slogan di questa strategia, la quale richiede un rapporto molto aggressivo con il mercato, attraverso prezzi, comunicazione e distribuzione. I vitigni autoctoni evidentemente fanno fatica a entrare in questa competizione. Per fortuna, oggi esiste un’altra strategia, che parte dal principio diametralmente opposto: “Pensa locale e agisci globale”. Ovvero, se possiedi una cosa speciale, assolutamente locale, che esiste solo nel tuo territorio, è possibile trovare uno spazio nel mondo dei consumi per la ragione inversa a quella dell’altra strategia: non perché è un prodotto già conosciuto ma proprio perché è un prodotto diverso. Infatti, nel mondo saturo dei consumi il nuovo consumatore post-moderno è curioso, alla ricerca di novità e di differenze. I vitigni autoctoni rispondono proprio a questo principio. L’Italia è il paese che ne ha di più nel mondo: nebbiolo, sangiovese, vermentino, soave, fiano, nero d’Avola e così via. Certo, non bisogna credere che siano interessanti solo in quanto autoctoni. Bisogna che siano buoni e riconoscibili, che ci sia una produzione seria, qualitativa e continuativa, che la quantità rimanga contenuta per non inflazionare il mercato, come purtroppo sta succedendo in alcuni casi. Ma tutto questo non basta. Entrare sul mercato globale con un vitigno autoctono è difficile: bisogna costruire una narrazione e una relazione, e più ancora un’identità non equivoca. Se questa strategia riesce, ha più vantaggi competitivi dell’altra. L’Italia è il paese del bello e del buono e resta anche sorprendentemente il paese delle diversità: architettoniche, artistiche, paesaggistiche e di cultura materiale (oltre ai vitigni autoctoni, la cucina italiana - unica al mondo - ha più di duemila ricette). Questo è il tema sul quale centrare un’attività di comunicazione e di relazione con il mondo di oggi, che non può essere copiata da nessuno. Un modo di fare turismo senza spostarsi da casa: non attraverso il video, ma una cena e un bel bicchiere di vino italiano.

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