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La Repubblica

Il whisky di Braveheart che non conosce la crisi ... Non piangere sul whisky versato”, dice Jack Lemmon a Marylin Monroe in “A qualcuno piace caldo”, film pieno zeppo dibattute indimenticabili, non soltanto sul bere. E di whisky non se n’è mai versato tanto, nei bicchieri s’intende, come in quest’epoca di problemi, dolori e preoccupazioni d’ogni genere, in cui piangono perfino i ministri annunciando sacrifici alla popolazione.
Mentre le economie di tutto l’Occidente tremano sotto i colpi del debito, della disoccupazione, dell’euro, una nicchia di sfolgorante produttività aumenta vertiginosamente i suoi guadagni: il liquido alcolico distillato dall’orzo sulle Highlands del leggendario Braveheart. Nei primi nove mesi di quest’anno, infatti, il whisky scozzese ha visto le sue esportazioni raggiungere i 3 miliardi di sterline, circa 3 miliardi e mezzo di euro, con un incredibile aumento del 23 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010, che era stato a sua volta un anno da record, come del resto quello precedente. E la produzione di Glenfiddich, il whisky al malto più popolare del mondo, ha superato per la prima volta quota un milione di barili all’anno. “La cosa più straordinaria è che cresciamo uniformemente un po’ ovunque, nei mercati emergenti come in quelli maturi e tradizionali”, s’entusiasma Stella David, presidente della Grants, l’azienda leader mondiale nella distillazione di questo antico liquore.
L’ambrato prodigio proveniente dalla Scozia rappresenta dunque molto più di un successo economico: è un fenomeno culturale, sociale, psicologico. Lo si beve per dimenticare, verrebbe la tentazione di concludere pensando alla crisi, ma è un’immagine che evoca ubriachezza o sonnolenza, forse valida per altri tipi di alcolici ma apparentemente fuorviante in questo caso. In primo luogo le case produttrici costruiscono le loro campagne di marketing tutto attorno al concetto di bere “responsabilmente”, ovvero senza sbronzarsi. Inoltre il whisky scozzese costa più di altri alcolici e di altri whisky, in alcuni casi è molto caro, un po’ troppo per berlo a garganella.
“I nostri clienti non lo bevono certo per prendersi una sbornia”, spiega la numero uno della Grants. “Al contrario, nei mercati emergenti, in Cina, in Brasile, in Russia, lo vendiamo perché le nuove e sempre più numerose classi medie scelgono whisky scozzese, piuttosto che un drink locale, per dimostrare la propria raffinatezza e il proprio cosmopolitismo”.
Ma quelle sono le economie dove tutto va bene: e in Europa, negli Usa, nell’Occidente in crisi e in declino? “Inizialmente siamo rimasti sorpresi anche noi notando la tenuta che abbiamo anche sui mercati maturi”, dichiara la David al Financial Times. Poi ha capito il perché. “Anche quando i tempi sono duri la gente vuole trattarsi bene, vuole conservare una sia pur piccola fetta di lusso”, afferma, dati alla mano, la donna in cima all’impero del whisky. “Forse sanno di dover rinunciare alle cose grosse, a un’auto, a un vestito, a una vacanza, ma vogliono almeno continuare a godersi un momento di relax. Così, scelgono un brand di alta qualità e gli restano fedeli”. Un buon esempio è la Spagna, uno dei paesi europei più tartassati dalla re- cessione, dove nell’ultimo anno le vendite del Glenfiddich sono addirittura raddoppiate.
Non è insomma per il tasso alcolico che il whisky scozzese attraversa un inarrestabile boom. Per accorgersene basta chiedere informazioni all’ufficio del Turismo di Edimburgo: il “‘WhiskyTrail”, il sentiero del whisky, è uno degli itinerari turistici più frequentati di Scozia, uno dei motivi più citati per visitarla. Quarant’anni or sono la distilleria Glenfiddich di Dufftown, fondata nel 1886 e da cinque generazioni in mano alla stessa famiglia, fu la prima ad aprire un “visitors centre” fra le case produttrici di whisky scozzese: oggi attira 75 mila turisti all’anno. “Se scegli un whisky scozzese”, conclude Stella David, “lo gusti con il cuore e con la mente tanto quanto con il palato. Bevi un sorso di storia, di tradizione, di atmosfera”. In tempi di crisi, insomma, beviamo più whisky scozzese non per dimenticare i guai, bensì per vivere un’esperienza e provare almeno un attimo di conforto. Probabilmente la stessa ragione per cui i Braveheart delle Highlands, che non avevano una vita facile, impararono a distillano, e a berlo, dai monaci irlandesi capitati sulle loro montagne intorno al 1200.

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