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La Repubblica

Zero additivi e pesticidi la battaglia dei vini naturali per farsi spazio a tavola ... Le grandi aziende: “È marketing”. Ma è boom di produttori ... “Il vino naturale è come un film di Cassavetes. Ha dei difetti pieni di nobiltà”. Quando si entra nella più spinosa disputa enologico-filosofica degli ultimi anni, che ha spinto già trecento viticoltori italiani a eliminare gli additivi chimici, ci si imbatte in metafore illuminanti. E questa di Jonathan Nossiter, regista del film-cult “Mondovino” e guru del movimento, porta direttamente al punto. In Italia i vini naturali, piacciano o no, si stanno diffondendo sempre di più. Nonostante il governo abbia vietato per ora la dicitura “naturale” sull’etichetta, nonostante 1’accusa di essere una furba “operazione di marketing”, sono finiti nei listini delle enoteche migliori. Sponsorizzati in tv da alcuni grandi chef. In questa storia di idee che si, scontrano, ci sono amicizie che vanno in frantumi. “Non può capire quanti vignaioli mi hanno tolto il saluto quando li ho scoperti a utilizzare pesticidi e lieviti industriali”, racconta Angiolino Maule, presidente di VinNatur, uno dei tre consorzi italiani specializzati e tra i primi, negli anni Novanta, a scegliere la coltivazione biodinamica della vite. Tra i sostenitori del vino naturale, c’è anche Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly. Qualche mese fa ha lanciato l’iniziativa Vino Libero, a cui hanno aderito 12 cantine tra cui il “big” Fontanafredda in Piemonte. “Il vino non va liberato solo dalla chimica - dice - ma anche dai finti esperti, dai “fondamentalisti”, da bottiglie che costano troppo o troppo poco, dal packaging inquinante”. Chiariamo subito un malinteso diffuso. Il vino naturale, che sta avendo un discreto successo anche in Francia, Brasile e Giappone, non è il vino biologico. Quest’ultimo, oggetto di un recente regolamento europeo, può contenere fino a 130 mg/l di solfiti (per proteggere la fermentazione del mosto) e avere una quarantina di sostanze aggiunte, tra azoto, cellulosa, colla di pesce, caseina, tannini, sali minerali, enzimi e acidi. Nel vino naturale tale limite si abbassa a 50mg/lesi eliminano erbicidi e pesticidi nella coltivazione. Come è possibile? “In vigna - spiega Maule - utilizziamo concimi organici e aumentiamo la fertilità del suolo con la tecnica del “sovescio”, interrando cereali e legumi”. Per difendere le piante dalla letale peronospora e dall’oidio vengono spruzzati estratti di rosmarino e lavanda. La raccolta, rigorosamente amano, è ritardata di una o due settimane rispetto alla vendemmia classica “per raggiungere la maturazione fenolica del frutto”. E poi si passa in cantina. “Utilizziamo i lieviti che si trovano sui chicchi d’uva senza ricorrere a quelli industriali, che “arrotondano” i gusti”. Poi per mesi si controlla costantemente temperatura, ossigenazione e pulizia della cantina.
Ogni viticoltore naturalista sa che qualche tino andrà a male, accetta il rischio. Il risultato è un vino torbido (non viene filtrato), corposo, con uno strato di 3-4 millimetri di sostanza organica sul fondo. E il gusto Ecco, a questo punto si entra nel campo delle grandi questioni su cui l’umanità non sa mettersi d’accordo. Michel Bettane e Thierry Desseauve, due critici francesi, non ci girano intorno: “Questi vini puzzano - hanno scritto sul Gambero Rosso - i vitigni e i territori finiscono per somigliarsi per via dei cattivi lieviti indigeni con cui sono realizzati”. I favorevoli, invece, ricordano che la bottiglia più costosa del mondo, il Romanée Conti della Borgogna, 2.500 euro, è un vino naturale. Non c’è blog o sito specializzato dove non se ne parli, da “Puntarella rossa”, a “Intravino”, a “SlowFood”. Tradizionalisti da una parte, naturalisti dall’altra. Lo scontro è aperto.

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