02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

La Repubblica

Bere italiano? Artigianale, locale e bio ... Dall’internazionale al locale: il cambio di rotta del vino italiano procede a gonfie vele. Nei Paesi maturi e in quelli che stanno consolidando il consumo quotidiano, o comunque non più legato solo all’evento fuori casa, cresce la domanda divini di buona qualità, spesso e volentieri da vitigni autoctoni (un patrimonio italiano di oltre 540 vitigni), biologici (45mila produttori, circa il 17% del totale europeo) e artigianali, facilmente bevibili e a prezzi più popolari. Dopo il successo dei vini “internazionali”, si sta registrando infatti una netta inversione di tendenza dei consumatori, un po’ stanchi di sorsi tutti uguali indipendentemente dalla provenienza e sempre più “assetati” di nuovi sapori, meno omologati, ma anche di storie di produttori, di territori e di cultura. La conferma più viva e tangibile arriva dal Vinitaly, edizione 49, che torna a Verona dal 22marzo, dove il Vigneto tricolore sembra puntare con ancora più decisione sulla valorizzazione all’estero della territorialità dei suoi prodotti, unici al mondo e irriproducibili altrove, grazie proprio a quel patrimonio autoctono. “Si tratta dell’espressione di una grande biodiversità, che rappresenta un terzo di tutti i vitigni presenti sulla Terra e che dà al vino made in Italy un plus che piace nel mondo”, spiega Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere-Vinitaly che organizza e gestisce anche il padiglione a due piani Vino, a tasteofItaly di Expo2015, investimento di 5 milioni di euro (3 del ministero delle Politiche agricole, 2 dei veneti). “E proprio la valorizzazione di questa peculiarità italiana radicata nella nostra cultura che sta alla base del padiglione, il primo dedicato al vino mai realizzato durante un’Esposizione universale. Una sfida vinta dal ministro Martina, da Veronafiere e da buona parte del sistema vinicolo italiano”.
L’interesse per l’uva locale, artigianale e bio è sbocciato in Italia solo in questo secolo, dopo che, per un paio di decenni, era stata inseguita la novità dei vini in barrique, dei Merlot,degli Chardonnay, del rassicurante e collaudato international style. Gino Veronelli l’aveva pensato e scritto già quarant’anni fa: “Abbiamo bisogno di meditazione e di equilibrio: il ritorno contadino non è rifiuto della tecnica; è l’invito a sottomettere sempre e comunque la tecnica al rispetto delle esigenze umane”. Intuizione geniale e visionaria oggi più attuale e concreta che mai, se pensiamo che un appuntamento mondiale come il Vinitaly dedica sempre più spazio ed energie al vino “non convenzionale”, cosa impensabile solo qualche anno fa Ecco dunque, in fiera, padiglioni a tema come il VinitalyBio eVivit (Vigne Vignaioli Terroir). Ma anche, perla prima volta, un convegno-degustazione, “The good, the bad and the ugly of artisanal wines” (24 marzo, alle 11) in cui esperti dell’enomondo italiano e internazionale (tra cui il master of wine Petiro Ballesteros Torres) introducono i concetti legali di biologico e biodinamico (per esempio, ciò che è biologico in Italia non lo è in Usa, e viceversa), spiegando quesiti del tipo: i vini non biologici possono essere artigianali? Coloro che si sporcano le mani in vigna tutti i giorni con piccole produzioni possono godere di questa definizione?
Una risposta certa c’è: senza la componente territoriale, di cui l’Italia abbonda per eccellenza,molti vitigni avrebbero avuto una storia assai meno gloriosa. “Non c’è dubbio: oggi quel che tira di più all’estero dell’Italia del vino sono i vitigni autoctoni”, afferma Ian D’Agata, direttore scientifico di Vinitaly International e di Vinitaly International Academy. “Sempre più numerosi sono i ristoranti che propongono etichette di nicchia, meno conosciute, non perché necessariamente migliori o meno care, ma per offrire alla propria clientela uno spaccato diverso dalle solite cinque, sei uve che hanno tutti”. Gli emergenti? “Accanto ai grandi classici come il Barolo e il Brunello di Montalcino, che resistono bene e vanno forte nelle grandissime annate, come sarà quella del Brunello 2010 presentato quest’anno, avanzano il Nerello Mascalese e il Carricante dell’Etna, seguiti dal Pecorino (Abruzzo), dal Vermentino di Sardegna, dai Nebbioli dell’alto Piemonte”. Fra le novità anche la Passerina delle Marche, i Pallagrelli della Campania, l’Inzolia (Sicilia). New entry, per la prima volta in classifica, il laziale Orvieto. E fra bioviticoltura in crescita (11% della superficie totale vitata) e le premiate fatiche dei vignaioli artigianali, entrati più volte nelle enoclassifiche internazionali, il prodotto “non convenzionale” italiano sta alzando enormemente gli standard qualitativi. Riflessi positivi che si rispecchiano nell’export e nella grande distribuzione 2014 registrando una crescita incoraggiante nella vendita delle bottiglie di qualità, con ottimi auspici per il 2015. Nel nome del vino buono, pulito e giusto.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su