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La Repubblica

“Sfatiamo il tabù delle viti Ogm sarà la salvezza del vino italiano” ... Una lettera di Angelo Gaja, il grande viticoltore del Barbaresco, sta scuotendo il mondo dei vigneti. “Se i ricercatori non verranno autorizzati ad applicare le nuove tecniche genetiche, le nostre vigne non hanno futuro, attaccate dal caldo, dai parassiti…”. Dice che solo con la cisgenesi si può dare un futuro ai grandi vini italiani. Sa bene che la cisgenesi (trasferimento di geni da piante della stessa specie) viene considerata una tecnica Ogm e gli organismi geneticamente modificati nei campi appaiono a tanti come una bestemmia. Ma di fronte ai nemici (che sono soprattutto la peronospora che secca foglie e grappoli e l’oidio che infetta tutti gli organi verdi della pianta) non si può stare fermi. “L’attacco alle viti è pericoloso - dice subito Michele Morgante, presidente di Siga, società italiana di genetica agraria - anche perché le nostre varietà hanno più di cento anni e non si è fatto nessun miglioramento con le nuove tecniche genetiche. Si è contrastato il nemico solo con la chimica. Il risultato? In Europa solo il 3% del terreno agricolo è dedicato alla vite ma questa piccola fetta assorbe il 60% dei fungicidi”.
Ci sarebbero le armi giuste, per salvare le viti. La cisgenesi, almeno per ora, è vietata come la transgenesi (trasferimento di geni fra specie diverse). Di fronte al rischio di perdere uno dei valori più alti del patrimonio alimentare, qualcosa però sta cambiando. In incontri con i viticoltori e con i ricercatori il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha annunciato infatti una netta apertura alla cisgenesi e al
genome editing (tecnica, quest’ultima, per ora chiusa in un limbo fra Ogm e non Ogm. “Permette di cambiare - spiega il professor Michele Morgante - le basi del Dna, un po’ come se correggessimo un testo al computer ”). “È sempre più evidente - dice il ministro Maurizio Martina - che il solo dibattito pro e contro Ogm è un argomento superato. Vietare le vecchie colture transgeniche non significa essere oscurantisti e non volere un serio lavoro sul miglioramento genetico vegetale. Siamo pronti a supportare un piano organico di iniziative di ricerca, a legislazione vigente, con tecnologie più sostenibili sulle principali colture nazionali. Mi riferisco a strumenti come il genome editing e l’approccio cisnetico che ci possono consentire un miglioramento genetico mirato, senza alterare le caratterizzazioni produttive di un sistema agroalimentare, migliorandone le performance anche rispetto alla resistenza alle malattie. Abbiamo chiesto all’Europa una discussione definitiva perché queste tecnologie vengano pienamente riconosciute diversamente dagli Ogm transgenici. Questa è una partita che vogliamo giocare al fianco delle aziende, degli agricoltori e dei ricercatori”.
Traduzione: secondo la citata “legislazione vigente” la cisgenesi è Ogm ma, in attesa della “discussione definitiva” a Bruxelles l’Italia vuole incentivare e finanziare questo tipo di tecnica. “Certamente - dice Michele Morgante, che è anche direttore scientifico dell’istituto Genomica applicata di Udine - il ministro ha aperto una porta rimasta chiusa per troppo tempo. Bisogna però fare altri passi in avanti. Se non si cambia la "legislazione vigente", ad esempio, non sarà possibile la sperimentazione in campo aperto, che per noi ricercatori è indispensabile. La modificazione genetica è antica come l’agricoltura. Qui a Udine con la tecnica degli incroci siamo riusciti a creare 10 nuove varietà di vite (per vini da tavola o Igp) e tutte resistenti a peronospera e oidio. Ma abbiamo impiegato 15 anni. Per salvare le viti italiane non abbiamo tutto questo tempo. I controlli e le regole sono importanti - fra l’altro per la chimica sono quasi inesistenti - ma bisogna ricordare che noi siamo ricercatori di istituti pubblici. Lavoriamo per il bene del Paese, non per le multinazionali”. Angelo Gaja si schiera con la ricerca. “C’è chi nelle cantine è contento perché con l’aumento delle temperature le vendemmie di buona qualità sono più frequenti”. Ma c’è purtroppo l’altra faccia della medaglia. Con il caldo e la scarsità di pioggia sono arrivate “una recrudescenza delle malattie parassitarie vecchie e nuove, la sofferenza di vigneti a causa di periodi troppo a lungo siccitosi, le uve che arrivano in cantina troppo calde, ancora coperte di antiparassitari che la siccità non ha concesso di dilavare… In Francia il polo universitario di Bordeaux da un decennio ha avviato progetti di ricerca scientifica volti a individuare viti più idonee al nuovo clima. Bisogna che il nostro Paese autorizzi i ricercatori ad accedere alle nuove tecniche”. Il mondo del vino - dice Angelo Gaja - deve evitare il pericolo più grave: “Stare fermo”.

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