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La Repubblica

Nascetta, Vitovska Fiano e Colorino il ritrovato orgoglio degli autoctoni ... Domenica prossima si apre la cinquantesima edizione del Vinitaly, la fiera di vino più importante del pianeta, nato nel 1967 come “Le Giornate del Vino” al palazzo della Gran Guardia di Verona. A supporto del nuovo evento, una base di consumo nazionale che a leggerla oggi dà i brividi, sopra i centodieci litri a testa. Mezzo secolo più tardi, i numeri si sono abbondantemente capovolti, se è vero che a fronte degli ormai quaranta litri scarsi pro-capite, gli espositori attesi alla Fiera di Verona saranno oltre quattromila, in rappresentanza di più di cento nazioni. Un evento globale, con diramazioni nei cinque continenti, infinite possibilità di incontri, degustazioni, convegni dall’alba al tramonto (e oltre), e quasi duecentomila operatori coinvolti. Eppure, a margine delle passerelle splendenti dei soliti noti, la sfida più intrigante è scoprire e valorizzare le piccole produzioni, meglio ancora se da uve sconosciute o quasi. Il dato è impressionante: in Italia sono presenti almeno 548 vitigni autoctoni, numero che potrebbe addirittura raddoppiare se le indagini dei ricercatori universitari continueranno a produrre recuperi di antiche varietà abbandonate e dimenticate. Un’opera meritoria, che va a braccetto con la riscoperta di specie botaniche- dai cereali alle piante da frutto - e animali, colpevoli soprattutto di rese ridotte e scarsa docilità al giogo delle produzioni seriali. Soppiantati negli anni dai cosiddetti vitigni internazionali - capaci di adattarsi in terroir anche lontanissimi tra loro, acquisendo nei migliori dei casi alcune peculiarità locali - molti autoctoni sono semplicemente scomparsi, mentre altri hanno rischiato di soccombere. A difendere il principio benedetto della biodiversità, viticultori indomiti e appassionati docenti di enologia, sommelier curiosi e intellettuali del vino, impegnati a formare gruppi di lavoro legati da un filo sottile e resistente tra vigne e laboratori. Così, negli anni sono tornati alla ribalta uvee vini magnifici, dalla friulana Vitovska (bianca e floreale) al Fiano già apprezzato da Plinio il Vecchio, a cui forse si deve il nome, riferito alle api (da cui apiano) golose di quell’uva tanto zuccherina. E dietro i vitigni, gli uomini, pronti a scegliere la strada difficile della sperimentazione, per verificare la possibilità di restituire dignità enologica a tante uve d’antàn, da Luigi Moio, padre putativo degli autoctoni campani, al valdostano Nicola Del Negro, che non si è voluto rassegnare alla desolazione della superficie vitata regionale, scesa in un secolo da quattromila a quattrocento ettari. A lui, e alle ottanta famiglie di vignaioli coinvolte nel progetto, si devono alcune delle migliori etichette di “viticoltura estrema” del nuovo millennio. Se Chardonnay e Merlot non vi divertono più, prenotate una gita a Verona e cercate i vini selezionati da lan D’Agata, direttore scientifico di Vinitaly International, per la super degustazione “Vini unici al mondo da vitigni autoctoni italiani”. Saranno famosi, meglio assaggiarli adesso.

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