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La Repubblica

L’anno nero dell’olio produzione dimezzata e prezzi alle stelle. “Colpa del gran secco” … L’allarme. La fioritura era stata bellissima poi ha smesso di piovere ed è stata la crisi, I coltivatori: “Per resistere, ormai dobbiamo spostarci sempre più a Nord, fino alle Alpi”... “Cosa possiamo fare? Per ora, soltanto pregare”. Siamo ad almeno due mesi dalla raccolta delle olive ma già incombe un’altra annata pesante. “Qui nel Lazio - racconta David Granieri, presidente di Unaprol, il consorzio olivicolo italiano della Coldiretti - abbiamo già perso il 50% della produzione. E da lunedì arriva Lucifero con i suoi 40 gradi. La situazione potrà solo peggiorare. Avevamo grandi speranze, quest’anno. La fioritura è stata bellissima, c’è stata anche una buona allegagione (il passaggio dal fiore al frutto) poi ha smesso di piovere e c’è stato l’anticipo del caldo. La siccità ormai arriva ogni anno e sappiamo bene che dobbiamo cambiare i nostri oliveti. Vogliamo avere la possibilità di irrigare, come si fa per tante altre colture. Ma i nostri ulivi più pregiati nella Sabina, nella Tuscia, nella Ciociaria - posso ricevere solo acqua dal cielo. Ci siamo già incontrati con la Regione, abbiamo presentato progetti. Se c’è la volontà politica, le soluzioni tecniche non mancano. Ma non faremo certo in tempo a salvare l’annata. Oggi, davvero, non possiamo che pregare per la pioggia e un po’ di fresco”. Sotto le piante non si sono nemmeno sciolte le palline di concime. Le poche olive hanno più nocciolo che polpa. “Li trattiamo come bambini, i nostri olivi. Facciamo la spollonatura, usiamo il frangizolle per arieggiare il terreno... L’anno scorso abbiamo perso il 40% delle olive, l’anno prima il 30%. E quest’anno rischiarno il colpo più pesante, quello che se non si interviene - ti fa credere che non ci sia un futuro” E pensare che nel 2016 il raccolto non era andato così male, nei confronti del resto del Paese. Contro il 40% del Lazio c’era stato infatti un meno 62% della produzione nazionale, fermata a 182.000 tonnellate. La crisi non accerchia soltanto la Capitale. Anche in Toscana c’è stata una “fioritura rigogliosa” poi caldo e sete hanno portato via il 20% delle olive al nord e oltre il 40% al sud. Nelle Marche si calcola un meno 50 - 60%. In Puglia - il più grande oliveto italiano - il calo previsto è del 30%. “Diminuendo la produzione - racconta Gianni Cantele, presidente della Coldiretti pugliese - aumenta il rischio di frodi e sofisticazioni Già oggi più di due bottiglie su tre riempite in Italia contengono olio di olive straniere”. Gli ulivi fanno di tutto, per resistere nello Stivale. Hanno accettato anche l’emigrazione, spostandosi nei decenni dal sud al nord. Con anche buoni risultati: l’anno scorso, in Valtellina, sono stati prodotti 400 quintali di “olive delle Alpi”, in una regione lombarda che conta 700.000 olivi su 2.000 ettari. “Ma quest’anno racconta Emanuele Ghirardelli, presidente dell’Aipol, associazione degli olivicoltori lombardi le cose non stanno andando bene. Anche noi prevediamo un crollo del 40%. Nel mio campo accanto a casa ho trenta ulivi che l’anno scorso mi hanno dato 12 quintali di frutti contro i 7 - 8 degli altri anni. Oggi faccio fatica a vedere le olive fra le foglie. La stessa fioritura è stata fiacca poi è arrivata la gelata del 19 aprile. Le piante si sono riprese a fine maggio, quando sono arrivati 15 giorni di caldo africano. La calura fa seccare il pistillo e così blocca l’impollinazione. Col nuovo caldo è cominciata la cascola, che ancora continua. Le olive, che dovrebbero essere di un verde brillante, prendono un verde smorto, poi diventano gialle, marroni e infine cadono. Una cascola così non l’abbiamo mai vista. Resistono meglio gli olivi che stanno più a nord, stanno abbastanza bene le piante del lago di Garda che hanno trenta o quarant’anni e affondano le radici nel terreno. In certi campi, invece, si fa presto a contare i frutti: zero, non ce n’è”. Anche i turisti, in Valtellina, ormai si sono abituati al nuovo panorama: ulivi al posto di pascoli e mucche. “Ho cominciato dodici anni fa racconta Carlo Baruffi, 72 anni - nel Comune di Poggiridenti, con 50 ulivi arrivati dal Garda. Oggi ne ho altri 360 presi da tutta Italia, comprese le piante delle taggiasche. Gli altri contadini mi prendevano in giro, poi sono venuti a chiedermi consigli”. Il motivo è semplice: l’olio delle Alpi e della regione (ci sono anche due Dop, Laghi lombardi e Garda) vengono venduti negli Stati Uniti, in Giappone e negli Emirati arabi.

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