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La Repubblica

Il segreto dell’uva è lasciarla libera ... In passato le notizie sul mondo del vino, e i vini stessi, viaggiavano molto più lentamente che oggi. Non vi dico nella sperduta provincia di Cuneo, dove le bottiglie straniere bisognava andarle a cercare con il lanternino. Non rimaneva che una possibilità: partire alla scoperta delle eliologie sconosciute, spesso verso la Francia ma ancora di più verso sud. Fu così che nel 1983 - non c’era ancora Slow Food, e nemmeno Arcigola, ma la nostra curiosità per quello che di buono si produceva in giro per l’Italia era già fortissima - partii insieme all’amico Gigi Piumatti. Ci avventurammo nel mondo, per noi sconosciuto, del Montepulciano d’Abruzzo e il primo produttore che andammo a trovare fu Emidio Pepe: più ci avvicinavamo a Torano e più era evidente la rustica bellezza del luogo, che sembrava fatto apposta per fare del vino buono.
Ci accolse in casa dicendo che lui faceva uno tra i migliori vini del mondo. Lo ritenemmo subito un imperdonabile peccato di presunzione, ma quando Emidio cominciò ad aprire alcune bottiglie capimmo che non scherzava: i suoi vini erano buonissimi, sanguigni, originali; vini dai sapori sublimi che non avevamo mai assaggiato: “Lo so, lo dicono anche a New York”. “E tu che ne sai di cosa dicono a New York del tuo vino?”. “Lo so perché ci sono stato”. E così ci raccontò che aveva intrapreso un lungo viaggio, lui che praticamente non si era mai mosso dalle campagne circostanti Torano, perché voleva sentire cosa dicevano del suo vino al di là dell’oceano. Mi rimase impresso questo desiderio di curiosità di un uomo che conosceva a memoria ogni più utile segreto della sua terra e che voleva andare “a conoscere il mondo”; mi colpì la sua fierezza contadina, il suo fascino fatto di gesti semplici, di silenzi e di qualche illuminante sorriso. Ci invitò a pranzare con la famiglia, così la moglie Rosa avrebbe avuto il tempo per preparare le bottiglie che volevamo acquistare: non capimmo subito cosa volesse dire, ma ci spiegò che da lui il vino si faceva in un modo molto semplice, che è poi lo stesso modo con cui viene fatto ancora oggi. Le uve vengono pigiate con i piedi e poi torchiate, quindi si lascia che il vino compia tutti i suoi processi nelle vasche di cemento, in maniera naturale, senza mai aggiungere o togliere nulla. Quando Emidio lo ritiene opportuno i vini finiscono in bottiglia e a questo punto si innesta una strana consuetudine, rimasta immutata nel tempo: una piccola parte della produzione viene messa subito in commercio mentre il resto viene riposto in cantina, accanto alle cataste di centinaia di migliaia di bottiglie che giacciono lì fin dalla prima vendemmia del 1964. Quando si decide, su esplicita richiesta dei clienti, di mettere in commercio qualche piccola partita di bottiglie vecchie annate, queste vengono aperte e decantate, una ad una, in altro vetro; poi ritappate ed etichettate. Viene così eliminato il naturale deposito che si forma sul fondo: “Filtrando il vino - ripete da sempre Emidio - si portano via tante buone proprietà, mentre la decantazione è molto più naturale: è il vino che decide ciò di cui privarsi, e quindi mantiene integra la sua personalità e il perfetto equilibrio raggiunto nel tempo; questo gli permette di vivere più a lungo...”. Ancora oggi da Pepe si fa così: le ritualità (e i segreti) della decantazione Rosa le ha trasmesse alle figlie Sofia e Daniela, che da tempo affiancano Emidio in cantina: sono queste donne ad assicurare che la forte determinazione maschile di Emidio, unita a una rara sensibilità, non venga assolutamente tradita. Più di recente è la nipote Chiara che accompagna il nonno nei sempre più frequenti viaggi a New York, dove negli ultimi anni Pepe è diventato un divo, di cui parlano tutti i ristoratori e gli appassionati di vino. Questo succede oggi, ma Emidio lo sapeva già quarant’anni fa.

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