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L’espresso

Tolleranza zero ... Controlli a tappeto. Pene più severe. Tracciabilità dei prodotti. La proposta antifrodi del leader Coldiretti. “Una minoranza di criminali mette a rischio il settore”... Sergio Marini non ha passato giornate facili. La Coldiretti, l’associazione che presiede, è la più rappresentativa tra quelle del comparto agroalimentare. E lo scandalo sul vino adulterato e l’olio contraffatto non hanno certo giovato alla causa del made in Italy. Dice: “Spero che le indagini siano solo il frutto di un inasprimento dei controlli e non di una tendenza in atto. Noi lo diciamo da sempre: sulla sicurezza alimentare e contro le frodi in commercio non servono le parole, ma verifiche a tappeto. Efficaci e veloci. In modo da mettere rapidamente alla berlina le poche mele marce che rischiano, di volta in volta, di mettere in ginocchio uno dei comparti trainanti della nostra economia”.

Brunello taroccato, vino all’acido, olio prodotto in Tunisia. Qualcuno dice che è stata fatta contusione tra vicende diverse.

“Non credo proprio. La differenza tra la presunta frode sul Brunello, con vitigni di Sangiovese mischiati ad altri tipi d’uva vietati dalle norme del disciplinare interno, e le sofisticazioni del vinaccio pugliese sono chiarissime. Bisogna valutare invece quanta buona fede ci mette chi legge e interpreta le notizie sui giornali”.

Prima la mozzarella alla diossina, ora il vino adulterato: che succede?

“Il made in Italy agroalimentare è la seconda voce dell’export italiano, dietro solo alla meccanica. Venti miliardi di euro, tanto pesa sulla bilancia commerciale l’esportazione del nostro tesoro. Siamo il primo paese al mondo come valore aggiunto, il primo come numero di “denominazioni” di qualità. Il secondo, dopo la Francia, Come produzione complessiva. Triste che questo patrimonio collettivo, costruito in decine di anni da agricoltori e allevatori eccezionali, possa essere messo a rischio per il comportamento di una minuscola minoranza di criminali. Ovviamente in un mercato così vasto qualche irrego1arità va messa nel conto. L’importante è che venga subito smascherata”.

I controlli di Nas e Forestale sono sufficienti? Le autorità lavorano bene, le norme a tutela dei consumatori sono, credo, adeguate. Ma non sempre le regole scritte vengono poi rispettate. Soprattutto sulla questione della trasparenza nell’etichettatura. La provenienza della materia prima deve essere una informazione fondamentale, obbligatoria su qualsiasi confezione in vendita”.

Sull’olio il governo ha varato un provvedimento affinché olive straniere non potessero trasformarsi più in “olio italiano”.

“Vero, è stato il coronamento di una nostra battaglia. Il decreto firmato dal ministro De Castro è stato un passo avanti. Se dal 17 gennaio scorso le bottiglie nei negozi
e nei supermercati
dovrebbero mostrare in bell’evidenza l’origine della materia prima, è però difficile trovare sugli scaffali prodotti che rispettino le nuove regole. E un episodio paradigmatico: solo facendo applicare la legge in modo ferreo si possono eliminare truffe, sofisticazioni e le sortite dei pirati del cibo”.

Secondo le statistiche, nel campo alimentare chi commette crimini rischia poco, torna subito in circolazione.
“Serve il pugno di ferro, tolleranza zero. Non scherziamo: chi mette in pericolo la salute, coloro che commettono azioni che minano la credibilità della nostra produzione vanno puniti severamente. Se servono pene più dure, ben vengano: l’immagine del made in Italy è troppo preziosa per poter essere messa in discussione. Chiunque venisse condannato per attività illecite nel campo alimentare, per esempio, non dovrebbe avere la possibilità di tornare a lavorare nello stesso settore”.

Il caso del Brunello ha spaccato gli enologi: qualcuno dice che le norme sono state aggirate per una mera questione di gusto. I disciplinari sono lo strumento Con cui i produttori si autoregolamentano. e non vedo perché, in caso di nuove esigenze del mercato, le regole non possano essere riviste. Se la magistratura ipotizza che il mix vietato sia in realtà legato a una questione di palato, non mi straccio i capelli. Basta che ogni operazione venga effettuata alla luce del sole e non nel buio delle cantine, senza ipocrisie. Nella vicenda, quello che mi preoccupa non è la sostanza (i1 Brunello resta buonissimo), ma la forma. Nell’agroalimentare non solo bisogna comportarsi correttamente e rispettare ogni piccolo cavillo, ma dare anche all’esterno, ai consumatori, l’impressione di lavorare con assoluta correttezza. Sempre. Non bisogna dare mai la minima percezione di illegalità”.
Sennò i consumatori scappano?
“Perdono la fiducia faticosamente conquistata, diventano diffidenti e smettono di comprare quello che gli offriamo. Danneggiando tutta la filiera, non solo i pochi furbi che aggirano la legge. Perciò è necessario che anche le istituzioni, di fronte a scandali alimentari, seguano un protocollo comportamentale inappuntabile. Sulla sicurezza e sulle frodi l’atteggiamento della pubblica amministrazione non deve mai essere percepito ambiguo o balbettante”.
La coldiretti sul tema ha preso posizione contro l’esecutivo.
“Sulla vicenda delle mozzarelle di bufala e su quella del vino adulterato, al di là del merito che verrà analizzato in sede giudiziaria e grazie alle analisi dei laboratori, ci si è mossi male. Con dichiarazioni e comportamenti che il consumatore può aver percepito come un tentativo di copertura, o mancanza di trasparenza. Dal Palazzo non deve trapelare nemmeno la vaga sensazione che si voglia minimizzare lo scandalo. Se gli italiani vengono sfiorati dal sospetto, smettono di fare acquisti. Immediatamente”.
Come è successo per le mozzarelle?
“Prima si afferma che il prodotto è buono e senza diossina, poi si aggiunge che nemmeno un bocconcino è finito all’estero: il consumatore pensa che, in realtà, la mozzarella è davvero contaminata, e che è venduta solo nei nostri supermercati. Per tranquillizzare gli importatori stranieri è stata data una mazzata al mercato interno. Sono errori di comunicazione che non bisogna ripetere”.


Ricetta Tavernello ... “Quelle cantine erano chiacchierate da tempo, nel nostro ambiente si sa bene da chi si può comprare e da chi è bene tenersi alla larga”. Sergio Dagnino è il direttore generale della Caviro, l’azienda che produce il Tavernello. Governa un impero da 45 mila ettari sparsi per sette regioni, con alle spalle 20 mila soci; per quote di mercato e volumi, in pratica, il primo produttore d’Italia. “Era facile prevedere gli illeciti: quest’anno la vendemmia è stata scarsa, circa un quinto in meno rispetto all’anno passato. Per tenere bassi i prezzi e sorpassare
destra a concorrenza i criminali hanno allungato il vino con e sostanze illegali”.

Voi vendete un vino che costa meno di due euro. Qualcuno dice che non può essere vino.

“Si sbaglia di grosso. Noi possiamo raggiungere un eccellente rapporto qualità-prezzo grazie al
grande numero di viticoltori associati, a cui chiediamo massima qualità e costi contenuti. Facciamo 180 milioni di litri all’anno: costi della logistica e del personale si dividono su un volume gigantesco. Infine, se sarà meno romantico che stappare una bottiglia, il
brik è un contenitore davvero conveniente”.

Ma la materia prima non è certo economica.

“Questo è un falso mito: il vino in realtà non è caro. L’Italia è il secondo produttore mondiale, ha problemi cronici di sovrapproduzione: un vino da tavola sfuso o alcuni igt ai produttori costano
in media 30-40 centesimi. Non vedo perché fare speculazioni, Per un brik da un litro (il cui prezzo minimo di vendita non dovrebbe scendere sotto i 0,86 euro) il costo della materia prima pesa sul 36 per cento del totale, il 15 per cento sul brik e l’imballaggio, il 20 riguarda costi di produzione”.

Come fate a controllare la qualità del vostro vino?

“Abbiamo dei disciplinari in cui chiediamo il totale rispetto dei parametri analitici ed organolettici. Il bianco, per esempio, è per l’80 per cento trebbiano e per il 20 per cento fatto con vini veneti e siciliani. Il mix è identico in tutti i brik: gli enologi fanno sì che tutti gli standard, anche il gusto, siano uniformi”.

Se c’è stata vendemmia scarsa, voi come avete tatto a tenere i prezzi bassi?
“Anche noi abbiamo alzato i prezzi del 10 per cento e, per la prima volta in 25 anni, visto che sono venuti meno i vini a basso grado, abbiamo cambiato la formula dei Tavernello e alzato la gradazione dello 0,5. Una rivoluzione. Non abbiamo cambiato, invece, la tracciabilità: ogni consumatore dalla confezione può sapere da quale cantina arriva il vino che ha bevuto”.

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