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L’espresso

Meno male che c’è il Prosecco ... Le bollicine venete stanno rubando quote allo champagne. Segno che se si punta sulla qualità si può tornare a esportare... “Mi pare che non ci siano alternative: noi italiani siamo condannati a fare qualità sempre maggiore e a muoverci di più e meglio sui mercati stranieri”. Non ha dubbi Gianni Zonin, a capo del grande gruppo che vanta in Italia il più alto numero di ettari di vigneti di proprietà, con aziende presenti nelle aree più qualificate, dal Veneto alla Sicilia, passando per la Toscana e fino a Barboursville, in Virginia. “Ora esportiamo il 45 per cento, ma puntiamo al 50 già nel 2010 e al 60 nel quinquennio successivo. L’Italia è un mercato stanco, con prospettive di
sviluppo oggettivamente limitate, come d’altronde la Spagna e la Francia, e dove sarà sempre più difficile trovare un corretto equilibrio fra produzione e consumi. Viceversa, è il momento di fare il massimo sforzo per affermare la diversità, fa varietà, la qualità dei nostri vini da vitigni che sono riconosciuti come nostre bandiere”. Spiega Zonin: “Non mi riferisco soltanto al momento magico del Prosecco, che sta erodendo quote di mercato importanti al Cava e allo stesso Champagne, ma anche al classico pinot grigio, ai siciliani
insolia e nero
d’Avola”.
“Il nostro vino deve
farsi conoscere e
saper parlare a chi
capisce la differenza
fra i prodotti
di qualità e quelli
da prezzo-, sostiene
Lamberto Vallarino
Gancia, presidente
di Federvini e leader
di un marchio a cui
è legata la storia del vino
italiano: “La nostra produzione è
davanti a un bivio: senza tagliare
i ponti verso né l’una né
l’altra via, ciascuno deve avere
ben chiare le implicazioni delle proprie scelte, sia nelle tipologie e negli stili di produzione, sia sul piano della commercializzazione. E comunque non si può non crescere all’estero”. Dice ancora Vallarino Gancia; “Le dimensioni del mercato interno impongono di cercare nuovi sbocchi per i nostri vini di qualità, che hanno come punti di forza il nome e la storia delle aziende, l’identità dei terroir e delle varietà da cui nascono, e i prezzi comunque competitivi, se si tiene conto della qualità che garantiscono rispetto ai vini di primo prezzo”. In casa Antinori, nessun dubbio circa la fascia di mercato in cui si collocano i loro vini. Dice Renzo Cotarella. amministratore delegato ed enologo principe
del grappolo di aziende che
lo storico marchio fiorentino oggi raggruppa: “La crisi c’è, ovvio, ma nella sostanza non ci ha toccati. Le nostre strategie non cambiano, anche se puntiamo ad accrescere l’export, che
per noi rappresenta già oggi
il 55 per cento del fatturato. Oggettivamente tutti i nostri vini (e non solo le etichette top come Solaia, Tignanello e Cervaro della Sala, per le quali la domanda supera sempre la disponibilità) si collocano m una fascia di prezzo alta, ma equilibrata. Siamo convinti di essere in sintonia con le aspettative del cliente.
E pensiamo che i vini di qualità vera troveranno sempre gli acquirenti che meritano, al di là delle fluttuazioni congiunturali.
Il che non autorizza nessuno ad adagiarsi sulle proprie rendite di posizione. La competizione si fa sempre più aspra e impone a tutti di impegnarsi anche sul fronte dei vini innovativi e abbordabili, nella fascia, per capirci, dei 10 euro, come il nostro Bruciato di Bolgheri o i bianchi “cadetti” del Castello della Sala”. “È importante, anzi indispensabile, mantenere l’equilibrio fra livelli produttivi e prezzi”, dice Marco Pallanti (Castello di Ama), presidente del Consorzio del Chianti Classico, per spiegare la decisione del Consorzio stesso, innovativa per l’Italia, di porre un tetto alla quantità di vino che sarà venduto quest’anno, in attesa di prezzi
più remunerativi per i produttori. - Anziché optare per una riduzione delle rese, che significherebbe una perdita tout court di prodotto in un anno, come questo 2009 che promette un’ottima vendemmia, abbiamo preferito tagliare del 20 per cento le vendite, il che vuoi dire che una tale quota di vino non potrà uscire dalle cantine prima di 24 mesi dalla vendemmia. Un sacrificio pesante per noi produttori, che non solo venderemo meno, ma dovremo anche sopportare i costi dell’immobilizzo derivante dallo stoccaggio. Ma ci è sembrato un modo seno per reagire all’andamento del mercato”, conclude Pallanti.

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