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Il giallo del Brunello ... Sotto inchiesta il re dei vini... Sequestri in quattro aziende, 13 indagati. Il ministro De Castro: “Casi isolati, sto con i produttori”... Brunello sotto inchiesta: “Utilizzate uve diverse” ... Più di un milione di bottiglie sequestrate. “Tagliato il Sangiovese del 2003”, un centinaio gli indagati... Il vino italiano più famoso nel mondo, un simbolo dell’eccellenza tricolore, sta vivendo i suoi giorni peggiori. Fino a ieri dicevi Brunello di Montalcino e pensavi alle dolci colline senesi, ai filari di vigne che s’inerpicano fino a splendidi casali, a un superbo prodotto frutto di una terra unica e del lavoro dell’uomo. Da qualche giorno, invece, dense nubi si sono addensate
all’orizzonte. Il fascino e il prestigio di una produzione quasi unica viene messo in discussione da un’inchiesta della procura di Siena, che sta letteralmente scuotendo Montalcino, e
non solo Montalcino. All’origine delle indagini, l’esigenza di fare luce sul rispetto del disciplinare da parte dei produttori.

Il teorema degli investigatori è semplice: sono state usate uve diverse dal sangiovese, l’unico vitigno ammesso per il celebre rosso. Si parla di merlot, soprattutto, ma anche di petit verdot e cabernet. L’accusa, nella sua asettica formulazione, è grave: frode in commercio. Sull’inchiesta è stretto riserbo.
Il procuratore capo di Siena, Nino Formisano, si è limitato a confermarla, escludendo però l’ipotesi che nel Brunello sia finito vino proveniente dalla Puglia. Era questa un’indiscrezione apparsa su alcuni siti web specializzati, i primi a riportare i “rumors” sulle presunte irregolarità dei produttori.

Le chiacchiere virtuali si sono rivelate fondate e oggi si sa che nel presunto “scandalo” sono coinvolte alcune delle più importanti
griffe di Montalcino. Come Banfi, il cui amministratore delegato, Enrico Viglierchio, ieri all’apertura del Vinitaly ha ammesso
il sequestro
“dell’annata 2003,
pari a circa 600mila bottiglie, di dieci vitigni della tenuta”, nonché il ricevimento di un avviso di garanzia.

Di questi atti la magistratura senese ne avrebbe già notificati diverse decine, mentre sarebbero un centinaio gli iscritti nel registro degli indagati. Da quel poco che trapela, nella situazione di Banfi ci sarebbero altre famose maison: Antinori (che a Montalcino è proprietaria della tenuta Pian delle Vigne),
Frescobaldi, Argiano e Col d’Orcia, l’azienda del presidente del consorzio dei produttori del Brunello, Francesco Marone Cinzano. L’inchiesta riguarda 13 aziende.

Ma come si è arrivati al punto di mettere in discussione uno dei brand italiani più noti all’estero? Sono mesi che lungo i filari di Montalcino girano gli uomini della Guardia di Finanza e gli ispettori dell’ufficio repressione frodi del ministero dele Politiche Agricole. L’immagine che ne esce rischia di evocare i contorni di una colossale truffa ai danni del consumatore. La realtà è, invece, un po’ diversa.

L’uso di altre uve, differenti
dal Sangiovese, per la produzione del Brunello è questione dibattuta da tempo e nel Senese ha finito per spaccare i produttori. Da una parte i tradizionalisti, in genere piccole aziende, decisi a non mollare sullo storico vitigno toscano. Dall’altra gli innovatori, che propugnano l’uso del merlot per almeno un paio di ragioni. Primo, perché è un’uva nota in tutto il mondo la più usata in Francia assieme al cabernet e che conferisce
al rosso un gusto più morbido e, per così dire, internazionale. Il Sangiovese, d’altronde, ha un sapore deciso: secondo alcuni, solo se tagliato con altre uve può incontrare quel successo planetario che ha conosciuto il Brunello.

Il secondo motivo è che il merlot è un vitigno più “maneggevole”, risente meno dell’andamento del clima e anche nelle annate storte garantisce una buona resa. Non a caso l’indagine punta sul 2003, quando l’estate fu segnata da temperature molto superiori alla media ed espresse un sangiovese definito “marmellata”, tanto era saturo di
zuccheri e concentrato.

Alcuni produttori hanno deciso di rinunciare in partenza e non hanno imbottigliato. Altri hanno fatto scelte diverse e in questi giorni stanno mettendo in commercio le prime bottiglie. Infine, l’aspetto legato al disciplinare. Esso è frutto di accordo fra produttori e, ovviamente, riflette l’opinione maggioritaria, non quella della minoranza che da tempo vorrebbe cambiarlo per aprire all’uso di altre uve.

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