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In cibo un quarto dello stipendio ma l’impresa guadagna solo il 3%. L’Ue: “Stop alla speculazione” ... Alla tavola, come al cuore, non si comanda. Gli italiani non lo fanno e ogni cento euro ne spendono 25 per l’alimentazione. In totale fanno 215 di miliardi di euro l’anno (144 per mangiare a casa, 71 al ristorante). Questi sono i dati di base di uno studio di Nomisma presentato a Roma in un convegno moderato dal direttore del QN Pierluigi Visci su “Filiera agroalimentare” promosso da Ancd Conad e Federalimentare, in cui emergono aspetti positivi e negati vi. È positivo, ad esempio, che l’agroalimentare produca l’8,4% del Pil e determini il 12,6% dell’occupazione. Molto meno apprezzabile l’organizzazione della filiera, ossia i passaggi che portano dal produttore alla tavola. “Alla base vi è l’estrema parcellizzazione dell’agricoltura, con una pluralità di attori economici ognuno dei quali grava sul prezzo finale e sottrae competitività al sistema agroalimentare nazionale”, spiega Nomisma. Insomma, le conseguenze negative sono due: a) il consumatore paga di più di quanto sarebbe possibile ogni prodotto; b) le nostre aziende sono penalizzate rispetto ai concorrenti esteri. La filiera troppo lunga con una concentrazione della distribuzione inferiore a quello dei principali paesi europei è un bel guaio, ma poi va aggiunto un carico tra i più alti d’Europa per imposte indirette, costo del trasporto, bollette elettriche. Nomisma ha calcolato che per ogni 100 euro spesi dal consumatore, 16 vanno all’agricoltore, 12 all’industria, 6 al commercio all’ingrosso, 8 alla distribuzione grande e piccola, 17 alla ristorazione, 27 ai costi per trasporto, energia, pubblicità, involucri, 9 alle imposte indirette e 4-5 per le importazioni. La conclusione è semplice: se il consumatore si rifornisse direttamente dall’agricoltore, a parità di spesa avrebbe una quantità di prodotti cinque volte superiore. È chiaro che in un Paese complesso la distribuzione non si può cancellare. Ma migliorarla è un dovere. “Va interrotto un trend che impoverisce cittadini e imprese agricole in un difficile momento di crisi economica”, dice il presidente di Coldiretti, Sergio Marino. La direzione l’ha suggerita il presidente di Federalimentare, Gian Domenico Auricchio: “Molto si può e si deve fare per recuperare efficienza, dai costi della logistica ai trasporti, ai prezzi dell’energia e dei servizi fino alle imposte”. Anche perché mentre le quotazioni internazionali sono in calo vertiginoso (26% i cereali, 22% la frutta, 18% il vino, 13% gli ortaggi, 12% la carne suina), i prezzi al consumo sono inchiodati. Tanto che da Bruxelles è arrivata la sollecitazione a tutti i governi “a combattere speculazione, volatilità dei prezzi e pratiche contrattuali sleali”. Ma da Bruxelles non arrivano peraltro segnali incoraggianti; infatti, come ha notato il presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro, “c’è una proposta della Commissione europea di tagliare del 10-15% le risorse destinate al comparto agricolo, ciò significherebbe 10-15 miliardi in meno”. De Castro ha invitato quindi ad attivarsi “per far capire che questa Pac serve non solo ai produttori ma a tutti i cittadini europei”. Federalimentare e Grande distribuzione stanno invece lavorando a un protocollo per creare una filiera più efficiente e trasparente che porti vantaggi pure ai consumatori. Il presidente di Ancd Conad Camillo De Berardinis ci crede: “Se non ci preoccupiamo troppo delle multinazionali, l’accordo si può considerare già fatto. Le grandi imprese hanno già tanti vantaggi e non è il caso di dargliene altri”.

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