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Nazione / Giorno / Carlino

La signoria del vino Sette secoli di Antinori ... Memorabilia a palazzo: dal 1385 alle cantine 2.0... Il futuro ha un cuore antico, scriveva Carlo Levi. Titolo diventato un aforisma, uno slogan. Ma che in qualche caso è capace di accompagnare una storia, di tratteggiare una sorta di fotografia, quasi il segno di un destino, per raccontare vicende che si snodano attraverso i secoli. Perfino nel nome del vino, frutto nobile delle dolci colline toscane, tanto nobile che dagli albori del mondo non c’è stato poeta, scrittore, filosofo, pensatore che non gli abbia dedicato una riga. E proprio il passo della Storia quello che scandisce il lungo filo che lega ventisei generazioni della famiglia Antinori, “vinattieri” dal 1385, uno dei casi - e per l’appunto, quasi tutti italiani - di maggiore longevità nel mondo dell’uva e del suo nettare, della campagna intrisa di aristocrazia. Ventisei generazioni che hanno visto nascere non solo nobili contadini e cantinieri, ma anche politici, ecclesiastici, magistrati e funzionari della corte medicea, quando Niccolò - nome ricorrente, nella dynasty - ai primi vagiti del Cinquecento acquistò per la bella somma di “4.000 formi larghi e grossi” - quella che è ancora oggi la residenza di famiglia, nonché sede di rappresentanza del gruppo (tutti gli altri uffici sono stati trasferiti di recente nella cantina-cattedrale da 120 milioni di euro scavata dentro una collina a Bargino, in Val di Pesa), l’elegante palazzo a tre piani costruito forse da Giuliano da Maiano con ispirazioni michelozziane (la prospettiva portico-cortile-giardino) affacciato sull’omonima piazza al termine della via de’ Tornabuoni. Il salotto buono di Firenze, e anche questo non è certo un caso.
E il passo di questa affascinante vicenda che è storica ma anche economica e umana, e perfino culturale e civile perché fatta di uomini e donne - oggi alla guida delle aziende di famiglia, con il marchese Piero c’è la generazione delle donne, le tre figlie Albiera, Allegra e Alessia - è scandito bene anche da una mostra che proprio il Palazzo fiorentino di famiglia ospita fino al 31 ottobre. Si intitola, per l’appunto, “Futuro antico a Palazzo Antinori”: un viaggio in questo mondo, di vino e
di cultura, raccontato in tre tappe, dai ricordi del passato a una visione 2.0 del presente-futuro. Si comincia con una immagine ormai desueta, ma cara alla memoria della Toscana che non c’è più: la ricostruzione del celebre “carro matto” che ai primi del Novecento come già quattro secoli prima trasportava una piramide di 600 classici fiaschi impagliati, sistemati grazie alla maestria degli antichi; si finisce nel futuro, nella “sala immersi- va” della “Antinori experience”, incantata camera oscura che racconta i territori e vini. In mezzo, nella “stanza a paese” del pianterreno aperta per la prima volta al pubblico, “Il sogno del Medioevo”: scritti, documenti, fotografie e anche armature di metà Ottocento, quando Niccolò e Piero Antinori condivisero con Federico Stibbert la passione per l’arte e la storia medievale, romantico emblema anche di patriottismo risorgimentale. Un lungo racconto, per giungere alla realtà odierna di un gruppo che significa 15 aziende (8 in Italia, 7
nel mondo, dal Cile all’Ungheria, dagli Usa alla Romania) con 22 milioni di bottiglie prodotte ogni anno e 150 milioni di fatturato. E la consapevolezza di aver contribuito alla “rivoluzione enologica” degli anni Settanta-Ottanta. Lo racconta proprio Piero Antinoti nel suo recentissimo libro “Tignanello. 1971, una storia toscana” per Cinquesensi Editore, duecento pagine di storie, emozioni, bellissime foto. Il sogno e la gloria.

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