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Panorama Economy

Una botte troppo piena… La vendemmia del 2005 sarà da ricordare. Non solo per qualità, ma anche per quantità: 52 milioni di ettolitri. E il mercato affoga. Sperando nelle esportazioni.
A sentire tutti gli esperti, sarà la migliore vendemmia degli ultimi dieci anni. Ottima la qualità, viste le frescure di agosto: e abbondante la qualità, che dovrebbe sfiorare i 52 milioni di ettolitri. Ma le buone notizie si fermano qui.
Stretto tra la contrazione dei consumi e la sovrabbondanza di offerta, il vino italiano è in ginocchio. I prezzi dell’uva sono in caduta libera da due anni, tanto che lo scorso 4 settembre il ministero per le Politiche agricole ha approvato con decreto legge lo stanziamento di 80 milioni di euro per dare il via alla distillazione d’urgenza: significa che una parte consistente del raccolto sarà destinata a usi non vinicoli e rimborsata a prezzo di costo o poco più.
Economicamente parlando, è in corso un’ecatombe per decine di migliaia di aziende. Purtroppo la saturazione del mercato causata dalla mancanza di compratori è un fattore irreversibile, anche in una situazione potenzialmente favorevole come la vendemmia di quest’anno. Chi comprava regolarmente uve non compra più e non potrà più acquistare, a meno che non decida di scommettere sul futuro, confrontandosi nel breve periodo con i costi di giacenze bibliche.
Così il problema delle cantine piene è ormai un’emergenza in molte regioni, specialmente dopo l’abbondantissima vendemmia 2004 e con l’ormai conclamata difficoltà del mercato, peraltro timidamente in ripresa, specie sul fronte delle esportazioni. E se a soffrire, come sempre accade in questi casi, sono soprattutto gli ultimi arrivati e i piccoli produttori, anche i grandi del settore non se la passano bene. “Il momento è duro per tutti” ammette Gianni Zonin, protagonista ascoltassimo dell’enologia italiana. “In quattro anni il consumo di vino si è contratto dell’11%, e il 70% dei ristoranti denuncia un calo di fatturato, mentre nonostante la lieve ripresa delle esportazioni l’attenzione dei mercati esteri per il vino italiano è scemata. Sono segnali che parlano chiaro”.
Talmente chiaro che dalle bocche dei produttori esce sempre più spesso il riferimento a un numero maledetto: 1986, l’anno dei vini contraffatti col metanolo, con numerose morti, e il peggiore dell’ultimo mezzo secolo, vissuto tra prezzi in picchiata e consumi ridotti al lumicino. Una scossa per l’intera filiera, che però su quel disastro pose le basi per un futuro terreno. Almeno fino ad oggi: “Lo scandalo del metanolo impresse al settore uno scossone senza precedenti” ricorda Andrea Sartori, presidente dell’Unione italiana vini, “ma ebbe il pregio di insegnare agli italiani che un vino di qualità non poteva certo costare poche lire. Così, per oltre un decennio, a tirare il mercato sono stati soprattutto i marchi più costosi.

Una corsa folle ai rialzi. Risultato: una corsa folle al rialzo che negli ultimi anni ha spinto centinaia di produttori improvvisati a entrare nel segmento, convinti che per guadagnare bastasse produrre poche bottiglie griffate a prezzi inaccessibili. “Per qualche anno è andata così” conferma Sartori “ma oggi, come in tutte le bolle speculative, assistiamo a un enorme riflusso. Inevitabilmente qualche protagonista resterà sul terreno, ma al punto in cui ci troviamo un minimo di selezione darwiniana può essere persino salutare”.
Del resto anche la maggior parte dei locali italiani, ritrovandosi con la cantina piena, in queste settimane sta imponendo una drastica cura dimagrante alla lista dei vini, puntando esclusivamente sui classici e su quelli di prossimità (cioè prodotti nella stessa area geografica e gastronomica).
Così a soffrire sono già in molti. Su tutti la Puglia, terza regione per volume della produzione. Non a caso le proteste che hanno portato il ministro dell’e Attività produttive Gianni Alemanno alla concessione dello stato di crisi sono partite da qui alla fine d’agosto: nel solo Tavoliere sono a rischio sopravvivenza decine di aziende, colpite dal calo di ordini. Il governo e la Regione starebbero lavorando in questi giorni per offrire a ciascun coltivatore una somma una tantum di circa 3 mila euro: oltre questa soglia le istituzioni incontrerebbero il veto del commissario europeo all’Agricoltura Mariann Fischer-Boel, che già in passato non si è mostrata tenera nei confronti dell’Italia.

Parola di Ministro. “Gli accordi che abbiano stipulato” dice a Economy Alemanno “servono per fare fronte alla crisi. Ma da quattro anni il governo cerca di prevenirla: con gli accordi di filiera, con le nuove denominazioni d’origine controllata e garantita, e selezionando meglio le promozioni all’estero”.
Ma la sensazione diffusa è che neppure il contributo straordinario riuscirà a evitare chiusure e fusioni a catena, con conseguenti difficoltà per l’intera filiera agroalimentare della regione. La stessa sorte si profila anche in Sicilia, dove persino i produttori di passito, nero d’Avola e marsala sono costretti a vendere le loro uve a prezzi di realizzo. In difficoltà anche molte zone del Piemonte, dove il mercato sconta il trend di polarizzazione dei consumi.
“In momenti di crisi, gli acquirenti si rivolgono quasi esclusivamente alle produzioni di fascia alta, come moscati e spumanti, o a quelle dai costi molto contenuti “osserva Angelo Dezzani di manager Italia, l’associazione sindacale dei dirigenti di commercio, produttore e distributore vinicolo che ha da poco promosso un tavolo di confronto tra imprenditori e grande distribuzione. “Decine di vitigni di media qualità, stretti tra due opzioni, soffrono. E soffriranno di più in futuro, se non sapranno adeguarsi”.
Diverso il quadro della Toscana: qui a soffrire sono soprattutto la Maremma e il Chianti, dove la febbre degli anni Novanta aveva fatto convergere centinaia di investitori più o meno improvvisati. Il mercato ha mostrato che anche da queste parti non c’è più spazio per tutti, ma in questo caso la via d’uscita è meno traumatica: attirati dalla vendibilità del brand Toscana, i fondi d’investimento britannici e statunitensi spingono per rilevare le aziende più in crisi, proprio come avevano fatto dopo la disastrosa vendemmia 2003. “qualcuno, stremato dall’ultimo biennio, finirà per cedere” conferma un produttore locale.
Eppure le proposte per uscire dall’impasse non mancano. “Al governo abbiamo chiesto di ridurre l’Iva al 10%, in linea con quella dei nostri concorrenti più agguerriti, Spagna e Argentina” afferma Zonin. “Ma anche noi faremo la nostra parte. Se la proposta di un tavolo di concentrazione tra tutti i produttori verrà accolta rilancerò la mia antica idea di costituire un fondo per finanziare campagne di comunicazione destinate a sostenere il consumo di vino: questa non è una battaglia che possiamo permetterci di condurre in ordine sparso”.
E’ d’accordo anche Sartori: “Il momento è difficile, ma la nostra produzione è la migliore del mondo. Quindi basta tenere i nervi saldi, investendo su accordi di filiera e contratti pluriennali di fornitura, per evitare ulteriori crolli dei prezzi. Ma il rilancio passa soprattutto per l’export, che in futuro garantirà i margini maggiori: i piccoli produttori vanno invitati ad aggregarsi per presidiare meglio i mercati”..



In attesa dei produttori cinesi. E nella crisi il low cost brinda… Se gli acquisti di vino, in Italia, hanno fatto registrare negli ultimi due anni un evidente calo in termini di fatturato, la quota pro capite consumata dai cittadini non si è spostata dai 55 litri annui, la più alta del mondo insieme a quella francese. Non occorre un esperto di marketing per capire cosa significa: per non rinunciare al bicchiere, il pubblico si concentra sempre più spesso su prodotti di fascia bassa.
La presenza di bottiglie straniere sul nostro mercato non è più una novità, ma sorprende scoprire per la pattuglia estera dati di crescita in doppia cifra. “I vini cileni, spagnoli e argentini”, osserva Massimo Di Pietro, sommelier milanese, “sono prodotti validi, cresciuti in un clima simile al nostro. E in Italia il prezzo resta una discriminante importante”.
Ecco perché, dopo aver conquistato clienti più riflessivi come quelli delle enoteche, i vini stranieri low cost sono stati sdoganati anche dai nostri ristoranti, dove proporli non significa un declassamento della propria carta. Tra i player futuri non mancherà la Cina: quantità e qualità dei vini locali non preoccupano ancora, ma il clima di alcune zone, unito al basso costo di terreni e manodopera, permetteranno al Dragone di spiccare il volo entro un paio di stagioni. Grazie anche ai numerosi tecnici italiani e californiani ingaggiati dal governo per colmare le lacune produttive. Sul fronte della grande distribuzione, a gioire sono i produttori di vino in tetrabrik. Negli ultimi anni gli italiani hanno mostrato di privilegiare la fascia di costo compresa tra 0,75 e 3 euro, e la contrazione dei consumi ha spinto oltre un terzo degli acquirenti verso il limite inferiore di questa banda, presidiato con maggior successo da chi non usa il vetro. Così Tavernello, leader di mercato con il 60% del venduto e una crescita di fatturato dell’8% nel primo semestre 2005, è stato gustato quest’anno da quasi 5 milioni di famiglie, grazie anche a un’aggressiva campagna incentrata sulla qualità. In crescita anche Castellino (prodotto dallo stesso gruppo di cooperative agricole) e Ronco, mentre buoni segnali per il tetrabrik arrivano pure dal segmento più basso.

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