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Panorama Economy

Tutti i grandi capi di stato brindano a me ... Giancarlo Aneri, da Verona, è riuscito a fare bere il suo Amarone e il suo Prosecco a Vladimir Putin, a Barack Obama e perfino al Papa. Ma ha anche soci d’eccezione, come i Forte. Grazie a un gusto personale, al suo genio per il marketing. E a qualche piccolo segreto... Non misura il suo successo in volgari fatturati, ma in centinaia di migliaia di bottiglie prodotte all’anno (e per il 40% esportate). E minimizza anche nel parlare delle sue aziende: “botteghe” le chiama, con una modestia del tutto ingiustificata per la fama di cui gode nei cinque continenti. Del resto, Giancarlo Aneri è riuscito nell’impresa che sarebbe il sogno di qualunque produttore di vino del mondo: il suo Amarone ha suggellato la firma della nuova Costituzione europea, nell’ottobre del 2004. Ma prima e dopo quella data fatidica, Aneri ha fatto brindare davvero tutti i grandi della terra. E ogni giorno le sue etichette colorano i tavoli dei migliori ristoranti del globo. A 60 anni, l’imprenditore veronese ha la forza, l’entusiasmo e lo spirito di un ragazzo. Ma l’esperienza e il genio che ha messo e che continua a versare nelle sue tre imprese non hanno età né confine. “Sono soltanto un uomo fortunato” dice “perché faccio il lavoro che più mi piace”.

Come ha cominciato?

Per 20 anni ho lavorato alle Cantine Ferrari di Trento: un’esperienza davvero entusiasmante. Poi, nel 1992, ho deciso di
mettermi in proprio.

E si è messo a produrre vino?

No, olio.
Olio?

Sì, lo produco in tre varietà: umbro, ligure e toscano. E da lì, nel 1993, ho fondato è group: una delle mie tre società.

Tre?

Sì: nel 1995 ho acquistato la Tricaffè, una antica torrefazione di caffè di Serravalle Pistoiese, che nel 2009 arriva al 60° anno di vita. L’ho ribattezzata èTricaffè.

E il suo vino quando è arrivato?

Nel 1995, con la Aneri Vini. Ecco, ora che abbiamo finito con l’azienda, parliamo un po’ di giornalismo?

Continuiamo ancora un poco, per piacere: quanto fattura?

Oh, davvero piccola cosa: le mie sono tutte botteghe di nicchia. Però sono importantissime quanto a clienti.

Anche Barack Obama: come ha fatto?

I miei vini, a parte i cinesi, li hanno bevuti tutti i grandi capi di Stato degli ultimi 15 anni. Bush figlio e padre, Vladimir Putin, Papa Wojtyla, la regina Elisabetta, Nicolas Sarkozy...

E, scusi, con Obama come ha fatto?

Tutto parte nell’aprile del 2008: mancano sei mesi alle elezioni e sono in America per lavoro. Una mattina leggo sul New York Times che Obama, se vincerà, intende festeggiare al suo ristorante preferito: “Alla Spiaggia” di Tony Mantuano, a Chicago. Un ottimo ristorante.

Allora?

Allora chiamo i miei, in Italia, e chiedo se quel ristorante sia nostro cliente...

Ovviamente lo è...

Be’, sì. Così parto per Chicago e vado a mangiare alla “Spiaggia”. Poi chiedo di parlare con Mantuano.

E che cosa gli dice?

La pura verità. Che, da italiano, sono orgoglioso di lui; e anche che faccio il tifo per Obama. Gli spiego che la sera del 5 novembre, quando Obama sarà da lui dopo lo spoglio dei voti, anche io voglio brindare alla sua elezione: e spero che un mio Prosecco festeggi la vittoria dell’uomo che innescherà la ripresa economica.

E Mantuano che fa?

Ride, ride, ride. Detto fra noi, non so nemmeno se abbia capito tutto quello che gli ho detto. Di certo pensa che ha davanti un italiano matto.

Poi che cosa succede?

Che tutto quello che ho sperato si avvera. Obama vince, va da Mantuano, e brinda con il mio Prosecco.

Complimenti: proprio quel che si dice un “testimonial globale”, no?

Peccato che il presidente degli Stati Uniti, nelle cene ufficiali, non possa usare vini non prodotti in America. Però Tony mi ha rivelato che Obama vuole invitarmi alla Casa Bianca. Ne sarò felice e gli porterò il mio olio e il mio caffè. Quelli, in America, non li fanno proprio...

Insomma, insisterà con Obama?

Be’ Tony mi ha promesso che mi darà anche la foto che è stata scattata la sera del brindisi. Però non finirà mai su nessun giornale: la conserverò per il piccolo museo aziendale che voglio realizzare.

Un museo?

Be’, di cimeli ne ho davvero parecchi.

Per esempio?

Le repliche delle cassette in legno che contenevano le magnum dell’Amarone “Stella” regalate ai 25 capi di Stato che nel 2004 firmarono la Costituzione europea. Una andò perfino a Papa Wojtyla.

Altri cimeli?

La foto del brindisi col neopresidente Giorgio Napolitano; la lettera di complimenti che George W. Bush mi spedì dopo il G8 di Genova; le foto del matrimonio di John Elkann, che festeggiò a Prosecco; quelle dei 100 anni della Juventus, “bagnate” dai vini Aneri; le feste dei 90 anni di Indro Montanelli e degli 80 di Enzo Biagi e di Giorgio Bocca. Perché il giornalismo è l’altra mia grande passione...

All’inizio lei ha avuto due soci: Giovanni Agnelli Jr e Luciano Benetton, vero?

Sì. Poi, nel 1997, purtroppo Giovannino morì. Ho ricomprato le loro azioni.

E oggi ha altri soci con sé?

Sì, due: Aneri Vini è al 10% della Cantina produttori di Valdobbiadene, un consorzio che ha 592 soci. E poi la famiglia Forte ne ha un altro 20%.

I Forte degli alberghi e del lusso?

Sì: Rocco e Aliai Forte. Sono proprietari anche di alcune delle aziende che producono il mio Prosecco.

Ma cos’ha di così speciale il suo vino?

Tutti i miei vini sono atipici: rispecchiano il mio gusto. Anche per questo portano il nome dei miei cari: il Pinot bianco “Leda”, come mia moglie; il Pinot nero “Alessandro”, come mio figlio; l’Amarone “Stella”, come mia figlia.

In bottiglia ha qualche altro segreto?

Un segreto c’è: il mix delle mie uve è unico. Perché si basa sul mio gusto...

Per esempio?

Prendiamo il “Leda”. Sull’etichetta, dove - come faccio sempre - scrivo tutto, fino all’ultimo dettaglio, specifico che è fatto con un 51% di Pinot bianco, un 25% di Chardonnay, un 14% di Sauvignon e un 7% di Mùller Thurgau.

Manca il 5%. Un segreto?

Già. Mi scrivono da tutte le parti del mondo per sapere che cosa sia. C’è anche chi scommette di averlo indovinato. Ma non dirò mai nulla su quel 5%.

E poi lei vince nei buoni ristoranti...
Certo: tutti i migliori, di tutto il mondo. Ci vado da cliente: mangio, poi mi presento. E faccio assaggiare. Ma con i ristoranti vale la stessa regola dei capi di Stato: arrivano per la forte credibilità che, negli anni, noi Aneri abbiamo creato.
E il giornalismo?

Oh, finalmente! Io non vivrei senza i giornali. Montanelli è stato il mio idolo. Con lui, Biagi e Bocca, nel 1995 abbiamo fondato il premio “ègiornalismo”. È, con il vino, un’altra parte della mia vita...

Proprio come il vino?

Quando mi dicono che il mio Prosecco è il più buono del mondo, mi onorano. Ma se un giorno qualcuno mi dirà che “ègiornalismo” è il premio più bello, mi onorerà ancora di più.

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