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VINITALY-NOMISMA

Passionale, tradizionale, popolare: il vino, per gli italiani, è il collante tra le generazioni

L’indagine “Mercato Italia - Gli italiani e il vino” traccia il profilo dello stato di salute del mercato interno del primo Paese produttore al mondo

Passionale come l’amore, tradizionale come il pranzo della domenica, popolare come il calcio. Il vino per gli italiani è molto più di un asset del made in Italy: è un collante tra generazioni che coinvolge quasi 9 cittadini su 10 in tutto lo Stivale. L’indagine “Mercato Italia - Gli italiani e il vino”, realizzata da Vinitaly con l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor e presentata oggi in a Vinitaly (fino al 10 aprile a Verona), traccia il profilo dell’approccio al vino e dello stato di salute del mercato interno del primo Paese produttore al mondo. Si beve meno (il 26% in meno dei volumi rispetto a vent’anni fa) ma praticamente tutti e in modo più responsabile: la media è di 2-4 bicchieri a settimana, consumati soprattutto in casa (67%) in particolare dai baby boomers (55-73 anni, al 93%), ma è rilevante la quota di tutte le generazioni, con i millennials (18-38 anni) che evidenziano già un tasso di penetrazione pari all’84%. Dato in aumento sia a casa che nel fuori casa. Si beve meno, dunque, ma il mercato del vino tiene e produce un valore al consumo che, secondo l’analisi, è stimato dall’Osservatorio in 14,3 miliardi di euro (dato 2018).
Un mega vigneto da 650.000 ettari, con 406 vini a denominazione, 310.000 aziende e soprattutto un valore al consumo del mercato interno che l’Osservatorio Vinitaly - Nomisma Wine Monitor stima nel 2018 in 14,3 miliardi di euro, per un volume di vino venduto pari a 22,9 milioni di ettolitri. Rispetto al 2017 si registra una crescita del 2,8% a valore e una sostanziale stabilità a volume (-0,4%). Nel confronto tra i top mercati per valore dei consumi, l’Italia si posiziona al quarto posto dopo Usa, Francia e Regno Unito. Per il presidente di Veronafiere Spa, Maurizio Danese, “per la prima volta abbiamo stimato il valore al consumo del primo mercato al mondo per i nostri produttori. Il dato, che supera i 14 miliardi di euro, la dice lunga su quanto il settore impatti non solo sulla filiera ma anche sui servizi e sull’Horeca”.
Per la maggior parte degli intervistati, il vino è tradizione, eleganza e cultura, al contrario dei superalcolici, associati a divertimento e monotonia, o della birra, dove prevale il matching con amicizia e quotidianità. “Per gli italiani il vino va oltre lo status symbol - commenta il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani - e rappresenta un tassello fondamentale della cultura tricolore, al contrario di altri Paesi consumatori. E Vinitaly è un brand riconosciuto come bandiera: tre italiani su quattro conoscono la nostra manifestazione, dato che sale al Nord, per l’81%, e tra gli italiani con un alto livello di scolarità e reddito. Una notorietà del brand non fine a se stessa: oggi - ha aggiunto - Vinitaly ha l’obiettivo di parlare attraverso tutti i canali possibili, per creare un rapporto sempre più coeso tra il mondo dei produttori e quello dei consumatori. In questi anni abbiamo investito quasi cinque milioni di euro nello sviluppo digital e la nostra sarà la prima manifestazione che userà queste potenzialità”.
E se è vero che il vino rosso rimane il favorito in tavola, lungo la Penisola cambiano le preferenze sulla base di vecchie e nuove abitudini al consumo e della vocazione delle diverse aree vitate. Chi beve vino rosso lo fa nella metà dei casi almeno 2-3 volte la settimana, mentre per le altre tipologie il consumo è più episodico, in particolare nel fuori casa. Nelle città metropolitane, dove il tasso di penetrazione è uguale o leggermente superiore alla media italiana (91% a Napoli contro 88% in Italia) e si abbassa l’età media dei consumatori, Roma beve molto più vino bianco rispetto alla media italiana (25% vs 18%), mentre a Napoli i rossi dominano nelle preferenze e a Milano lo sparkling presenta punte di consumo ben superiori alla media, come pure i rosati nei capoluoghi meneghino e partenopeo.
Un rapporto edonistico, quello tra gli italiani e il vino, fatto di soddisfazione dei sensi più che di conoscenza, con solo un quarto dei consumatori che si dice in grado di riconoscere ciò che sta bevendo. Quota, quella degli “esperti” che sale nei maschi (33% contro il 18% delle donne), nel Nord-Ovest (31%) e in maniera direttamente proporzionale al reddito (45%) e alla scolarità (laureati al 39%). Tra i criteri di scelta, il territorio di produzione la spunta su denominazione e vitigno. Assieme sommano il 61% delle risposte e si rivelano molto più importanti di prezzo, brand aziendale, consigli di sommelier e caratteristiche green. Tra i “saranno famosi” nei prossimi 2-3 anni, i consumatori indicano invece gli autoctoni (28%), i biologici (19%), i vini veneti, piemontesi, toscani, pugliesi e siciliani e quelli leggeri, facili da bere e da mixare. Vino nel bicchiere ma anche in campagna, con il 23% degli italiani che hanno fatto una vacanza/escursione in un territorio del vino e solo il 18% che esclude questa possibilità in futuro. Tra le mete più ambite, stravince la Toscana con il Chianti e Siena, poi Piemonte (Langhe e Asti) e il Veneto. Su tutta la Penisola, inoltre, si fa largo lo spritz, che è il re del fuori casa (e dell’aperitivo) e ormai un vero e proprio rito di iniziazione al vino per i palati più giovani. Una svolta pop che allo stesso tempo può essere interpretata come un primo approccio culturale verso un prodotto bandiera.
“L’indagine realizzata sul consumatore italiano di vino - ha detto il responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini - è stata declinata in profondità per aree, regioni e grandi città, un dettaglio necessario per capire a fondo le tendenze che si stanno delineando nel mercato nazionale. Un mercato che non va trascurato, non solo per il valore che esprime ma per il fatto che la brand reputation dei nostri produttori e dei nostri vini, da far poi valere sui mercati esteri, si costruisce innanzitutto in Italia”. Il quadro indagato dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, che ha realizzato anche focus su 6 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana, Campania e Sicilia) e 3 città (Roma, Milano e Napoli), rende un’Italia del vino abbastanza uniforme nelle abitudini al consumo, con una lieve prevalenza al Nord, dove anche si concentra una maggior conoscenza del prodotto. Vola, in particolare in Lombardia e Veneto, il consumo di spritz (attorno al 40% nel fuori casa) e più in generale dei vini mixati nelle grandi città, dove è maggiore anche la propensione alla vacanza enoturistica, in particolare a Milano (36%).
Il rosso, primo tra i consumi, domina al Sud, in Piemonte e in Toscana, mentre in Veneto è altissima l’incidenza degli sparkling. Più marcate le differenze sulla conoscenza dei grandi vitigni: chiamati a indicare la provenienza regionale di Amarone della Valpolicella, Brunello di Montalcino e Franciacorta, solo 1 italiano su 4 risponde correttamente, in una geografia delle risposte che premia i veneti (38% di risposte senza errori), seguiti da Lombardia (34%), mentre fanalini di coda sono la Sicilia e la Campania, dove la soglia si abbassa a circa un quinto dei rispondenti.

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