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Quotidiano Nazionale

“Bruxelles deve tutelarci” … Deputata e manager di un colosso commerciale, Ylenja Lucaselli striglia l’Unione Europea “Denominazioni ingannevoli e wine kit liberi. Così si spalancano le porte alle contraffazioni”... L’unione Europea? Un club di astemi. Di sicuro a Bruxelles, pur sorseggiandolo a cena o all’ora dell’aperitivo, non amano il vino italiano. O quantomeno non si danno troppo da fare per tutelarlo. Anzi, la nuova politica agricola comunitaria per il settore vitivinicolo - in fase di discussione dopo l’accordo politico raggiunto lo scorso 26 giugno tra Parlamento europeo, Consiglio dei ministri dell’Ue e Commissione europea - contiene almeno tre punti sui quali “la regina del vino italiano” si trova in netto disaccordo. Lei è Ylenja Lucaselli, 41 anni, deputata di Fratelli d’Italia eletta a Modena e global advisor per l’Europa della Southern Glazer’s Wine and Spirits, colosso americano per la commercializzazione guidato dal marito Daniel Scott Hager, che dà lavoro a 35mila dipendenti e ha in catalogo più di 16mila marchi, 7mila produttori internazionali, di cui 700 italiani tra i quali Bacardi, Antinori, Frescobaldi e Banfi. I tre sassolini nella scarpa di Lucaselli sono le etichette con denominazioni italiane che, però, nulla hanno a che vedere con il nostro Paese; la possibilità di produrre vino, definendolo tale, con tassi alcolemici molto bassi e il kit per farselo in casa. Con le bustine, per intenderci, come l’acqua frizzante. “Servirebbe che l’Ue tutelasse le diversità del nostro prodotto - tuona -, anziché cercare di uniformarlo a quello del resto d’Europa. D’altronde, quella di metterci nell’angolo è una vecchia abitudine di Bruxelles e questa nuova Pac rappresenta un danno certo per l’export italiano, soprattutto per i produttori più piccoli, la cui principale forma di promozione è, appunto, il brand Italia, sinonimo di bello e di buon gusto”. Con un + 3% in giugno, interamente guidato dagli spumanti, l’export di vino italiano nel primo semestre 2018 ha chiuso a 2,9 miliardi di euro ( +4,1% rispetto al 2017). La ricetta suggerita da Lucaselli è mutuata dai vicini transalpini, primi concorrenti sui mercati internazionali dei vini italiani: “Noi dobbiamo fare come i francesi: tra di loro litigano, ma quando poi vanno fuori sono tutti uniti. Questo vale per i produttori di vino ma anche per tutti gli imprenditori che competono sui mercati internazionali. Dobbiamo fare squadra per tutelare e promuovere le nostre eccellenze. E la politica dovrebbe aiutare a raggiungere questo risultato. È un trend che va cambiato: bisogna invertire il fatto che all’estero non riusciamo a fare gruppo, a parlare con una lingua sola. Dobbiamo ripensare l’organizzazione e la funzione degli istituti che si occupano della promozione del brand Italia, eliminare i carrozzoni dove la politica ha piazzato personaggi che non erano in grado di trovare un altro lavoro, e mettere in piedi una struttura snella in grado di coordinare tutti gli sforzi”. Si tratta di una condizione necessaria per vincere la sfida già in corso sui mercati globali, dove da tempo sono entrati concorrenti agguerriti (primi fra tutti il Sudafrica, l’Argentina, l’Australia) e dove si aprono nuove opportunità lontane (Cina, Russia, Canada), ma anche vicine. Per esempio i nuovi mercati europei come l’Albania, dove si registra un boom di importazioni di vino italiano. Una sfida che stiamo vincendo negli States (le importazioni di vino italiano hanno superato quelle dalla Francia, anche se il costo al litro è più basso), dove il vino è strettamente collegato al brand Italia e al mito dell’italianità. “Ma sono serviti trent’anni per educare gli americani alla cultura del vino - conclude Lucaselli -. Cultura che poi si trascina quella della gastronomia, legata ai cibi, ai sapori, ai prodotti chilometro zero, per i quali l’Italia è conosciuta in tutto il mondo. E in questo la funzione della Southern Glazer’s Wine and Spirits è stata importante: il nostro segreto è stato quello di legare il concetto di vino italiano al lusso. Ma un lusso accessibile a tutti, non solo a pochi ricconi. Questa è stata la chiave che ha aperto ai vini italiani le porte dell’America”.

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