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Quotidiano Nazionale

È tempo di novello … Alzi la mano chi, se si parla d’autunno, non pensa al fermento in cantina. E nella stagione del ribollir de’ tini e dell’aspro odor de i vini, il primo vero brindisi all’annata si fa col novello. Ormai, dunque, è iniziata la festa, come testimonia il fiorire di eventi dedicati al vino nuovo in tutta Italia. Sicuramente c’è attesa in Francia, per l’arrivo del “fratello” maggiore Beaujolais nouveau, da uve gamay. In Italia, invece, per il novello si usano diversi vitigni a bacca rossa, ma in ogni caso nel bicchiere c’è da aspettarsi un inno ai vivaci colori e profumi autunnali. “È un vino che viene dalla tradizione - spiega il presidente dell’Ais Antonello Maiena - che ha come caratteristiche la vinosità, la morbidezza e l’esuberanza: l’abbinamento classico è con le caldarroste. Non ha le prerogative delle tipologie più strutturate, ma avvicina le persone al vino con la sua piacevolezza. A volte per un’azienda è l’occasione di concretizzare subito il risultato della vendemmia”. Nonostante il nome brioso e le caratteristiche beverine, il Novello è figlio di una tecnica complessa (e costosa), la macerazione carbonica. I grappoli interi vengono chiusi in contenitori ermetici pieni di anidride carbonica: in questo ambiente privo di ossigeno si avvia una fermentazione intracellulare e si sprigionano i profumi. I tempi sono rapidi (si va dai 7 ai 20 giorni), tante le regole. La normativa in vigore prevede l’immissione in commercio dopo la mezzanotte del 30 ottobre, fino al 31 dicembre dell’anno della vendemmia. I vini devono essere Doc o Igt, visto che va riportata l’annata. “Il record di produzione è stato nel 2005, con 18 milioni di bottiglie continua Maietta.- Sembrava che si potessero raggiungere i 20 milioni, ma in realtà già dall’anno successivo iniziò un lento declino. Nel 2017 furono prodotte meno di 2 milioni di bottiglie e la situazione non si preannuncia migliore per il 2018. Eppure le aspettative erano elevate, se pensiamo che la prima azienda sul mercato fu Gaja nel 1975 con il “Vinot”, oggi non più prodotto”. Nello stesso anno, in Toscana, debuttò il “San Giocondo”, di cui oggi vengono prodotte 55mila bottiglie dall’azienda Santa Cristina (in provincia di Arezzo). “In quegli anni - spiega il direttore marketing Santa Cristina, Enrico Chiavacci -, stavano nascendo nuove tendenze da parte dei consumatori. In Francia per il Beaujolais c’era una vera festa. In Italia ogni azienda ha cercato una sua interpretazione con gli uvaggi rappresentativi del territorio: noi usiamo le uve tipiche toscane a bacca rossa, per avere vini con bei riflessi violacei. Il Novello è stato un vino importante, poi l’attenzione è un po’ scemata ed è cambiato anche l’atteggiamento delle aziende”. Altre aziende non rinunciano da molto tempo a questa tipologia. Ad esempio le Cantine di Castignano, in provincia di Ascoli Piceno. “Supponiamo molto il “Gaio Rosso” - spiegano dall’azienda -, di cui abbiamo già molte prenotazioni dall’estero, soprattutto dal Nord Europa. La base è Merlot e produciamo circa 5mila bottiglie”. A Imola (Bologna), i Poderi delle Rocche commercializzano da anni il “Volpino Rosso”, blend di Ciliegiolo, Merlot e Sangiovese. “Siamo rimasti in pochi spiega Ettore Tamburini -, ma continuiamo a produrne 7/8mila bottiglie perché da noi c’è la corsa ad assaggiarlo: è un trionfo di profumi di gioventù e sottobosco”.

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