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Quotidiano Nazionale - Divino Sapore

Lo scienziato in cantina … Più scienza in vigna e in cantina, insieme all’esigenza di “raccontare bene la straordinaria storia del vino italiano, unica al mondo” ma anche di fare squadra per vincere sui mercati. Fresco di conferma per la terza volta alla guida di Assoenologi, ma anche alla copresidenza della Union internazionale del Oenologues, Riccardo Cotarella, 70 anni, fissa chiari gli obiettivi e i compiti dell’enologo moderno. E si prepara anche a un evento-vetrina per la “sua” Orvieto: 15 e 16 giugno, première assoluta — tra la suggestione del Pozzo di San Patrizio e il Teatro Mancinelli — per “Benvenuto Orvieto diVino”, con tanto di stampa accreditata da ogni dove e la chicca di un nuovo spumante. E intanto è in libreria con “Strategia di mercato e gestione dell’impresa vitivinicola”, una vera e propria bibbia per il settore scritta con Sergio Cimino e Jolanda Tinarelli per Edagricole.
Presidente Cotarella, è vero che lei “firma” oltre cento cantine? Ma come fa?
“Con tanta passione. E con una grande squadra di agronomi ed enologi: moltissimi di loro sono stati miei allievi all’Università della Tuscia. Siamo una squadra affiatata”.
Invece il mondo del vino italiano...
“Gli inglesi direbbero “sometimes yes, sometimes no”. E’ il nostro tallone d’Achille, per il consumatore non erudito è difficile distinguere la Valpolicella dal Salento, la differenza tra noi e i francesi è proprio quella, loro diranno sempre anzitutto “il mio è vino francese”, e solo in seconda battuta “di quale parte”. Noi siamo quelli del “mio vino, della mia azienda, di Orvieto”... Eppure siamo i primi in quasi tutto: territorio, vitigni, storia, una ricchezza incalcolabile. Ma è già molto che ce ne siamo resi conto”.
E che serve, allora?
“Comunicazione intelligente e chiara. Basta con “il mio vino è meglio del tuo” e roba del genere”. Ci sono tante iniziative, però.
“C’è un rinascimento rispetto al medioevo di appena 50 anni fa. E si deve a chi ha applicato la scienza e ha portato la conoscenza per rispettare la sostenibilità trasformativa di questi prodotti. Cioè gli enologi: quando non esistevano o erano solo praticoni, la qualità non era rispettata”.
Da presidente rieletto, quali sono gli obiettivi?
“Primo: interventi rispettosi del prodotto dando il doveroso risalto al processo dalla natura all'uva fino al vino, possibile solo con approccio scientifico. Secondo: farsi comunicatori di fronte a un consumatore oggi acculturato, cinico, spietato perché vuole sapere tutto. E' tempo di portare avanti la nostra cultura”.
Ma che pensa lei di questa gran moda degli spumanti ovunque?
“Bisognerebbe ringraziare il Prosecco e il Franciacorta, hanno dimostrato che si possono produrre bollicine di grande valore e bevibilità, ed è un altro punto a credito degli enologi l'aver voluto provare poi anche da nord a sud con i vitigni autoctoni, il Nerello sull’Etna, il Cerasuolo in Abruzzo, il Sangiovese in Toscana, il Verdicchio nelle Marche, tutti con risultati eccezionali. Non è una moda, ma una doppia espressione dell’uva e del territorio”.
Infatti ci provate anche a Orvieto...
“Già. Un metodo Martinotti, italiano, con il nostro uvaggio: Trebbiano, Malvasia, Verdello, Grechetto e Drupaggio. Una gran bel lavoro fatto con alcuni colleghi molto attenti”.
Ma che succede a Orvieto a metà giugno?
“Presentiamo al mondo che cos’è il nostro vino, ricco di storia e tradizione, famoso come “vino dei papi” ma davvero notevole, di grande rappresentatività del territorio e della sua storia, con il nome di una grande città. Un evento unico con tanti giornalisti, voluto dal nuovo cda del Consorzio, composto da giovani con tante idee”.
In un pozzo con l’acqua?
“È attraente, rappresenta Orvieto, con il Duomo e la città underground”.
Sì ma diciamoci la verità, l’Orvieto ha fama di vinello...
“Colpa degli orvietani, se non se ne conosce la bontà. E’ un vino che può invecchiare per anni, c'è anche una splendida vendemmia tardiva. Bisogna fare più squadra, anche qua”.

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