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Quotidiano Nazionale - Divino sapore

Brindisi della pace … Se non fosse il più assurdo dei paradossi, si potrebbe tranquillamente affermare che qui il vino non ha colore. Sicuramente non ha religione, né appartenenza. Il vino della pace. Della convivenza serena pur nella tensione di un conflitto incessante, astioso, cattivo. “Il vino della fraternità”, preferisce definirlo don Pietro Bianchi, cinquant'anni, veneziano, responsabili della gestione economica delle opere dei Salesiani in Terrasanta. E, come tale, direttore della cantina di Cremisan — Kerem Zan, vigna delle uve Zan — la collina a pochi chilometri da Gerusalemme e da Bethlehem, dove i Salesiani fanno vino da fine Ottocento, da quando don Antonio Belloni ebbe l’imprimatur per questa attività addirittura da don Bosco in persona. Vino della pace, e non solo. Anche olio (extravergine, ottima qualità), aceto, cherry, brandy, limoncello. Ma sempre nel senso della convivenza: cristiani, israeliani, palestinesi, musulmani, 18 persone e quindi 188 famiglie, che lavorano al medesimo progetto, fianco a fianco. E palestinesi sono i tre responsabili dell’azienda: Zihad che si occupa di marketing, George che cura il commerciale, e Fadj, responsabile della produzione e della gestione del personale, laureato in Italia. Insomma, l’enologo, braccio destro di Riccardo Cotarella, winemaker di statura mondiale ma anche uno dei pilastri del progetto Cremisan, insieme a un buon numero di aziende italiane e di amministrazioni pubbliche, a braccetto con Stefano Cimicchi, ex sindaco di Orvieto (che con Behethlem è gemellata) e già dell’azienda di promozione dell’Umbria, nonché produttore di vino lui stesso. Sostegno necessario a un’opera straordinaria. Che rischia qualcosa: Israele costruisce un muro e fili spinati, potrebbe isolarla, addirittura tagliarla in due con l’obbligo di attraversare check point, e intanto alla collina originaria — in una zona di grande significato archeologico e religioso, a Beit Jamal dove c’è il convento si trova anche il santuario di Santo Stefano con la tomba del protomartire cristiano — si è dovuto rinunciare, ormai è tagliata fuori. Ma i salesiani non si sono persi d’animo, “vogliamo creare — dice don Pietro — occasioni per vivere la fraternità, abbiamo aperto la pineta a tutti per fare picnic, incontrarsi, passeggiare, riflettere insieme, e la gente accorre. Ci sono giochi per i bambini, abbiamo due scuole, e un forno storico a Bethlehem che fa il pane per 170 famiglie palestinesi povere, per gli orfanotrofi e per gli ospedali, oltre a venderlo”. E poi c’è il vino. I vini. Tre linee. La prima, Cremisan: tre prodotti, due bianchi e un rosso, “tutti con vitigni autoctoni e tutti di alta qualità, vini solari anche se siamo a 850 metri di altitudine, aromatici e fruttati”, spiega Cotarella, che ha incrociato Cremisan, racconta, “dodici anni fa grazie a una conoscente americana, e mi ci sono tuffato anima e corpo”. I vini si chiamano come le uve: Dàbouki e Hàdali-Jàmdali i bianchi, Bàladi il rosso. Poi la linea Star of Bethlehem, un bianco e un rosso, blend di vitigni internazionali. Infine i vini “messa”, ancora con vitigni internazionali, bianco per i cattolici e rosso per gli ortodossi. In tutto 150mila bottiglie (ma un tempo erano arrivate a 450mila) da 20 ettari, in parte di piccoli produttori che conferiscono l’uva. In nome della pace.

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