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Quotidiano Nazionale / La Nazione

Caviro vuole brindare all’estero ... Tavernello principe sui mercati... “Parlare non serve, il vino si beve”... Il Tavernello ha un primato nel mondo, oltre che sulle tavole degli italiani. Ma i cultori della materia continuano a storcere il naso, a guardarlo con sospetto. “Forse non lo hanno mai bevuto - suggerisce con una punta di ironia Sergio Dagnino, direttore generale della Caviro, l’azienda che lo produce -. Lo provino. Vorrei ricordare che per farlo pretendiamo dai nostri soci viticoltori un vino con determinate caratteristiche. Se non ci forniscono quel che chiediamo, non lo prendiamo”. Motivazioni e spiegazioni a cui aderisce il grande mercato dei consumatori, in Italia e nel mondo, soprattutto Russia e Giappone e altri 40 Paesi. Rapporto qualità prezzo. Certo, si dice sempre così, ma la durata nel tempo, tra periodi di crisi e di vacche grasse, dà forza alla classica accoppiata. Peraltro la confezione in tetra pak del Tavernello ha avuto riconoscimenti scientifici quanto a durata della qualità del vino, oltre a più elevati criteri d’igiene. Caviro, però, non è solo Tavernello. Ha recentemente partecipato al Vinitaly, alla ricerca di acquirenti stranieri. Tra i vini ormai ci sono molti di alta gamma, di fascia premium e superpremium, con marchi che vanno dal Veneto alla Toscana, dal Friuli alla Sicilia, base tra Faenza e Forlì. In un momento in cui l’Italia beve sempre meno, ma anche i tradizionali Paesi del buon vino come Francia e Spagna, Dagnino investe per allargare la presenza sui mercati esteri, naturalmente quelli non tradizionali. “Abbiamo l’obiettivo di arrivare al 40% di esportazioni entro il 2020 - sostiene il direttore generale-. Direi che ci siamo: abbiamo chiuso lo scorso anno al 32%, quindi siamo in linea. Importante è rinnovare la gamma, non solo superpremium. Nei quattro paesi strategici che sono Stati Uniti, Germania, Inghilterra e Cina siamo presenti direttamente, sono i mercati che più hanno potenziale. Per dirle quanto curiamo la nostra presenza abbiamo costituito in autunno la Caviro Usa, per gestire direttamente tutto, a partire dal marketing, per meglio stare con il fiato sul collo dei distributori. Così come in Cina abbiamo un ufficio con tre dipendenti cinesi, un italiano insieme ad altri”. Sono anni in cui di vino si parla molto, si associa al buon vivere, alle serate tra amici. Qualche ora a tavola per allegre conversazioni spesso parte proprio dalla scelta del vino. Eppure il trendy non coincide con il popolare. “In Italia i consumi continuano a calare e nel mondo non crescono abbastanza - osserva Sergio Dagnino-. Il calo del consumo del vino è un fenomeno ormai costante. Perché, un tempo, il vino era un prodotto da consumare ai pasti, poi c’era il top di gamma, come un di più, la ciliegina sulla torta. Ma il consumo al pasto lo stiamo perdendo. La bottiglia delle grandi occasioni non rimpiazza”. Le parole non soppiantano i fenomeni in atto. Insomma, non è che parlare di vino significa berlo. E poi, bisogna vedere chi ne parla. “Il consumo è calato perché sono mutati gli stili di vita, perché anche sul vino ha influito la crisi economica - aggiunge il direttore generale Caviro -. Infine, perché i giovani non bevono vino. All’inizio del duemila c’era un consumo pro capite di 54 litri annui, oggi siamo a meno di 34. La crescita sullo scaffale della vendita dei vini sopra i sette euro non significa nulla: è solo il 2% del mercato”. Ma Caviro va, con i suoi 306 milioni di fatturato 2016 (+ 12%) e 550 dipendenti solo del gruppo (14mila se si considerano i soci viticoltori). E del vino non butta nulla. Con gli scarti rilavorati si fanno il Listerine e il Buscopan, tanto per dire. E con i residui delle potature produce anche energia.

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