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Repubblica / Affari & Finanza

Le mani cinesi sugli chateaux ora si aspetta il turno del Chianti … I cinesi si stanno bevendo la Francia. L’Italia sarà anche il primo produttore mondiale ma i cugini d’Oltralpe non solo continuano saldamente a tenere il primo posto per esportazioni nel mercato più grande del pianeta: cioè questo. I signorini sono anche i più corteggiati dagli stessi cinesi: che adesso vanno a imbottigliarsi il vino direttamente a casa loro. Il favoloso +39% nell’export che gli italiani hanno fatto registrare nel 2016 non basta. Lo dice letteralmente anche un rapporto dell’Istituto per il commercio estero qui a Pechino che “il nostro paese potrebbe esprimere meglio il proprio peso soprattutto nella proposta del vino, recepita dai cinesi ancora come inferiore a quella francese”. Ma come si fa a migliorare, appunto, la percezione? Dagli accordi con Alibaba in giù, benedetti anche dalla nostra ambasciata, gli italiani ce la stanno mettendo tutta: ma basta aggirarsi in un supermercato di qui per scoprire come i cinesi continuino appunto a sentire lo charme dei nostri rivali. Adesso, et voita, l’ultima infatuazione: l’acquisto di interi chateaux. Ormai più di 150 “castelli”, cioè il 2% dell’intera produzione di Bordeaux, sono nelle mani di Pechino. Il mercato del vino nel paese del Dragone cresce praticamente a passi da Pil: 6,9% l’anno. Così i ricchi consumatori cinesi investono direttamente dal produttore: spendendo da 5 ai 10 milioni di euro per quelle “vigne” che possono regalare dai 10 ai 30 ettari l’anno. E qui non si brinda solo al ritorno economico immediato che pure - dicono gli esperti - può sfiorare il 10% una volta che il prodotto sia bene incanalato. Gli chateaux sono ormai visti anche come “un resort da utilizzare per le ricche famiglie e un buon investimento immobiliare”, spiega a China Business News il direttore cinese di Christie, Li Lijuan. Anche qui: e che cosa avrebbero di meno le nostre tenute dalla Toscana in giù? L’aveva promesso Li Zefu, il capoccia di Cofco, il gigante del vino di qui: “Dopo Francia e Australia vorremmo investire in Italia”. Da quell’annuncio sono passati due anni: ma i cinesi, intanto, continuano a bersi la Francia. Quando riusciremo, noi italiani, a fargli saltare il tappo - almeno quello del portafoglio?

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