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Repubblica

Vendemmia, un’ottima annata ma non significa vino di qualità ... La produzione enologica italiana potrebbe crescere del 5% rispetto al 2009. Ma non sarà festa per tutti Nel corso degli anni troppe autorizzazioni a impiantare vitigni di qualità, anche in aree non ad alta vocazione. Così il Barolo sarà pagato due euro al litro e il Barbaresco poco più di uno. Una manna per i commercianti spregiudicati, una rovina per i veri “vignerons”... Come sempre accade in questo periodo si fanno tante chiacchiere sulla qualità della vendemmia e, neppure stessimo parlando di una partita di calcio, si rincorrono i discorsi da bar sport sulla sfida con i nostri cugini transalpini. Da inizio agosto è partito il tam tam mediatico e si sono alzate inopportune grida di giubilo per il sorpasso di produzione degli italiani sui francesi. Secondo i dati diffusi da alcune associazioni di categoria risulta che la produzione di vino italiano potrebbe (e l’uso del condizionale è d’obbligo) segnare un aumento fino al 5% rispetto allo scorso anno, su valori intorno ai 47,5 milioni di ettolitri. Oltralpe, invece, la produzione potrebbe far registrare una crescita limitata che si assesterebbe a 47,3 milioni di ettolitri.

Oltre a non appassionarmi più di tanto, trovo questa sfida anche un po’ inutile. Una vendemmia si giudica, come mi insegnano i miei amici viticoltori, non solo dopo aver portato le uve in cantina, ma alcuni mesi dopo. Infatti, le tre settimane che precedono la raccolta sono decisive dal punto di vista climatico e possono decretare la grandezza o meno di un’annata. L’uva è una cosa viva e si deve per forza attendere la magia della fermentazione per capire se tutte le premesse verranno poi mantenute nel vino. Una grande bottiglia ha bisogno di tempo, bisogna aspettare e aver pazienza per capire la sua evoluzione.

Ma passiamo dalle chiacchiere a discorsi ben più seri e gravi sul futuro della viticoltura italiana. Stiamo vivendo un momento di svolta che va analizzato nella sua complessità. Il fatto che la vendemmia sarà ricca non mi conforta più di tanto se questa abbondanza non farà che aumentare il processo di svendita del vino sfuso che è già in corso da più di un anno a questa parte. Le settimane che precedono la vendemmia sono le più febbrili per i mediatori del vino che per conto dei grandi commercianti e imbottigliatori girano le cantine italiane a caccia dell’affare.

Da una parte trovano produttori che non essendo riusciti a vendere il vino che avevano prodotto sono obbligati a svuotare la cantina per fare spazio al nuovo raccolto e dall’altra un mercato che sta richiedendo vini dal basso costo e non fa così tanto caso alla qualità di quello che consuma. Informandosi, non è difficile scoprire come il Barolo sfuso abbia raggiunto la deprimente quotazione di due euro e mezzo al litro, stesso prezzo che mi dicono spunti il Brunello 2005. Per non parlare di un vino a cui sono molto affezionato come il Barbaresco, che viene pagato la cifra folle di un euro o poco più. Una situazione insostenibile e ridicola, soprattutto per quei produttori che in vigna lavorano seriamente.

Ma quali sono le cause di questa situazione così deprimente? Diciamo che il governo del limite, che dovrebbe regolare il mondo agricolo, è andato a farsi benedire. Sono quindici anni che predichiamo nel vento dicendo che le viti vanno piantate solo nelle zone ad alta vocazione evitando di aumentare a dismisura le superfici vitate. Tutto inutile. Il Barolo, il Barbaresco, il Brunello hanno raddoppiato le bottiglie in commercio nel giro di un decennio. L’Amarone è passato da quattro milioni di pezzi agli attuali sedici.

All’inizio degli anni Novanta i prezzi dei vini, che erano obiettivamente molto bassi, sono stati giustamente alzati, ma poi si è esagerato pensando che tutti potessero superare tranquillamente i quaranta euro a bottiglia. Ma in cosa consiste questo governo del limite nel settore vitivinicolo? Semplice: nei momenti in cui il mercato tira occorre contenere i nuovi impianti e non esagerare con l’aumento dei prezzi; nei momenti di crisi bisogna ridurre la produzione dei vini di eccellenza e salvaguardarne il prezzo.

In Italia si è fatto l’esatto contrario. Molti dicono che le diverse categorie di produttori (vignaioli, industriali, commercianti) sono tra loro inconciliabili. In realtà, in un momento così drammatico, i vigneron italiani dovrebbero prendere esempio dai cugini francesi: qualche anno fa, in un momento di vacche magre, i produttori di Champagne decisero di diminuire la produzione del 30%. Tutti uniti: vignaioli, cooperative sociali e industriali. In Italia manca una visione comune, una politica di sviluppo che riesca a mettere d’accordo un mondo lacerato da troppe divisioni e incapace di dialogare per gestire al meglio la situazione economica e, se fosse possibile, progettare seriamente il futuro. Una scelta come quella francese sarebbe non solo auspicabile, ma anche possibile, perché i produttori potrebbero declassare una parte dei loro grandi vini potendo contare su denominazioni meno importanti che in gergo vengono chiamate di ricaduta: basti pensare al Langhe Nebbiolo, al Rosso di Montalcino o di Montepulciano, così come al Valpolicella Rosso.

Bisogna tutelare i nostri grandi vini come veri patrimoni nazionali e la loro gestione non dovrebbe ricadere nelle mani di pochi imbottigliatori pronti a speculare quando il mercato è in affanno. Gli stessi produttori dovrebbero limitare la loro produzione unicamente alle zone più vocate, ai cru storicamente riconosciuti come tali, e ai vigneti con piante più vecchie. Altrimenti l’eccellenza rischia di essere svilita e assistiamo così alla vendita di bottiglie di Barolo a 8 euro negli autogrill italiani, presi d’assalto in questi giorni da vacanzieri frettolosi.

Questa deriva è manna per commercianti spregiudicati e industriali a cui non interessa la qualità, non mette ansia alle grandi firme (che magari svendono le eccedenze sotto banco), ma distrugge il prestigio dei grandi vini e mette in ginocchio le miriadi di piccoli e medi produttori che, in questi ultimi vent’anni, hanno realizzato il rinascimento del vino italiano. Per la prima volta in tanti anni ho sentito invocare un po’ di grandine per ridurre le eccedenze, magari nelle vigne dei vicini.

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