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Slow Food

Gli stranieri copiano non mettiamoci a farlo anche noi ... Si parla da tempo di una crisi generale del vino. Soprattutto, non appena si arriva al dunque, sono in molti a lamentare il calo dei consumi, e non solo. In realtà, il panorama è alquanto variegato, anche in considerazione dei tanti mercati che ha, oggi, il vino: così, c’è chi esulta, chi ha trovato nuovi sbocchi all’estero, chi respira aria stagnante e chi davvero tocca con mano il momento di crisi. Dall’altra parte, i consumatori sottolineano sovente e non completamente a ragione che per bere una buona bottiglia si deve ormai disporre di un fornitissimo portafoglio, cosa non facile di questi tempi. Le ragioni e le questioni sono molteplici, secondo l’angolatura con cui vengono guardate, ma ciò che appare come un’urgenza a livello nostrano verte sulla necessaria valorizzazione e regolamentazione dei nostri vitigni autoctoni. Ricordiamolo ancora una volta: non esiste Paese al mondo che possa vantare una varietà di vitigni autoctoni come quella dell’Italia. Parliamo di almeno 300 varietà sparse in tutta la penisola, dal Nebbiolo piemontese al Traminer dell’Alto Adige, dalla Ribolla friulana fino allo Zibibbo di Pantelleria. Già in altre occasioni, però, alcuni colleghi avevano insistito sul fatto che il concetto di autoctono andava «metabolizzato» in maniera completa, ovvero non solo come territorio ma anche nelle cantine: se, per esempio, gli enologi usano lieviti industriali, anche il vino che se ne ottiene avrà un gusto meno marcatamente suo proprio. Diversità di vitigno e terroir, dunque, sono i due elementi a cui far riferimento. A livello internazionale, esiste una situazione alquanto fragmentata, con i nuovi grandi emergenti, come Australia, Cile, Sudafrica, California che stanno letteralmente conquistando i mercati; c’è però da sottolineare una forte discrepanza tra le norme europee che impongono precise percentuali di uva usata per avere il nome di un vino, rispetto a Paesi come l’Australia dove la sola restrizione che ha un vino che porta il nome della regione è quella di avere un minimo di 85% di uva di quella stessa regione. Anche questi temi, prima o poi, andranno affrontati. In Italia, il discorso dei vitigni autoctoni rimane l’elemento che ci permette di caratterizzarci a livello mondiale, ma oggi anche su questo punto è giusto ben riflettere sui nuovi passi da fare e, soprattutto, qual sia il modo migliore per promuoverli e tutelarli. Le domande, per esempio, nascono dal recente caso in cui la regione Toscana ha adottato tra i vitigni ammessi sul suo territorio anche il Sagrantino; si tratta di un vitigno che era quasi scomparso ed è stato come recuperato dal dimenticatoio da un ristretto gruppo di produttori, divenendo un po’ il simbolo di Montefalco, sua ristretta zona di origine. Inevitabile, considerato il lavoro che hanno svolto in questi anni, è stato il loro disappunto. La legge, per il momento, non impone nessun divieto: spetta infatti alle Regioni la possibilità di decidere e, dopo tre anni di sperimentazione, ogni vitigno può essere piantato ovunque. Non è certamente il primo caso di vitigno che attraversa la propria regione di appartenenza e, d’altronde, lo stesso Nebbiolo si trova anche in Lombardia e Valtellina, con cui si produce il Valtellina Superiore o lo Sfursat. Però, il modo in cui il Nebbiolo e tutti quei vitigni che hanno viaggiato due o tre secoli fa, è arrivato in altre regioni rimane certamente più incerto, anche perché erano altri tempi ed i confini più labili. Gli stessi emigranti, pensiamo al caso degli italiani in Argentina, hanno da sempre sentito la necessità di portare con sé, insieme agli affetti, anche le proprie uve. Oggi, quello che può insospettire, è che un caso come quello del Sagrantino, che è strettamente collegato ad un’area specifica come è quella di Montefalco, ed è risultato uno dei più ricchi in polifenoli (antociani, cioè il colore, e tannini) venga piantato altrove semplicemente perché è in voga. Valorizziamo i nostri vitigni ed il concetto di territorio. Sarebbe forse assurdo imporre rigide norme che non permettono ai vitigni di crescere anche altrove. Ma non facciamoci la guerra tra di noi, almeno.

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