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Style / Corriere Della Sera

Arianna Occhipinti: “Da contadina a regina del bio-vino” ... Il New York Times esalta i vini biologici di questa ventinovenne imprenditrice siciliana. Rigorosa lei e la sua produzione. La vecchia casa di campagna dei genitori (increduli); cinque persone (compresa lei, una tuttofare); tra vigneti e ulivi secolari 25 ettari di terra (in partenza erano due). Per esportare il made in Italy. Alcolico ... Tutto è iniziato con una lettera a Luigi Veronelli, padre di tutti gli eno-critici. In quelle righe di Arianna Occhipinti, poco più che 20enne, c’era già il futuro della nuova donna del vino italiano. Citando le musiche di Nick Cave (No more sbail we part) e le parole del vignaiolo biodinamico Nicolas Joly, esortava “a non togliere vita a ciò che è fonte di vita... A non costruire il vino da mani poco attente e distanti”. Visione chiara, quindi: i vini siano naturali, senza interventi chimici. Una scelta di “grande etica ecologica, coraggio estetico e assoluto anticonformismo” secondo Jonathan Nossiter, il regista del film “critico” Mondovino, estimatore della “fresca eleganza” scovata nelle bottiglie Occhipinti.
I più rapidi a credere nel futuro di Arianna sono stati gli americani. Al punto che in poche settimane il New York Times ha scritto due volte su di lei. Prima il critico Eric Asimov ha degustato e decretato: “Vini splendidi e multiformi”. Poi il magazine del quotidiano ha dedicato una doppia pagina alla sua cesa-cantina.
Arianna ora ha 29 anni, un volto da siciliana antica, lunghi capelli neri, una voce pacata e una tenacia che ogni giorno si misura con la terra. Sveglia alle 6,30, sempre tra vigne e botti, oppure in viaggio tra Italia e Stati Uniti. Ovunque ci sia da parlare dei vini riesce a farsi largo, con le sue magliette colorate e i jeans, tra il mare delle giacche blu dei sommelier. Sembra uscita da una frase di Gesualdo Bufalino: “Dicono che qui, fra splendore e squallore non rimanga spazio per il soave; che la nostra non è terra di idillio. Dicono, ma è vero a metà” (L’isola nuda).
Arianna appartiene all’altra metà.
La sua storia è un colpo di spugna sullo stereotipo della campagna del Sud povera o foraggiata dagli aiuti pubblici, identica a se stessa nei decenni. Inizia in provincia di Ragusa, lontano dal finissimo barocco di Ibla e dalla conca di Scicli, “forse la più bella di tutte le città” per Elio Vittorini. Comincia a Vittoria, zona del corposo vino Cerasuolo. Arianna si è laureata in Enologia a Milano. “Ma non trovavo più stimoli durante gli studi” racconta, “poi ho incontrato vignaioli che parlavano di produzione sostenibile. Ed è cambiato tutto”, Torna in Sicilia. La casa di campagna dei genitori diventa la base. Affitta due ettari di vigne antiche che sembrano avere nel dna i ritmi dei contadini di Fontamara descritti da Ignazio Silone: “Prima veniva la semina, poi l’insellatura, poi la mietitura, poi la vendemmia. E poi? E poi da capo. Sempre la stessa canzone”.
L’arrivo di Arianna nel 2004 è l’inizio di una nuova era in quei campi. Si aggira tra gli anziani contadini che lasciano fare, con sorrisi di scherno. Anche i genitori, lui architetto, lei insegnante, sono scettici: “Ma come, vai davvero a lavorare la terra?”. L’aiuta lo zio Giusto Occhipinti, quello del Cerasuolo Cos: “Avevo 22 anni, ho iniziato con il Frappato” ricorda. Altra terra, filare dopo filare, fino agli attuali 25 ettari, tra vigne e olivi, e alle 15 mila bottiglie l’anno (dai 18 ai 20 euro l’una). “Studiando la viticoltura classica” spiega, “ho capito quello che non dovevo fare:
usare la chimica. Volevo conservare i profumi dell’uva. Gli additivi invece li coprono. Ho deciso da sola. Consulenti? Non ne ho: i winemaker non sanno osare”. Un importatore la nota e le apre il mercato americano. Semplice ed energica come i suoi vini, non fatica a conquistare con frasi che la descrivono meglio di ogni book promozionale: “Adoro stare in vigna, mi fa sentire libera”.
L’azienda agricola che porta il suo nome è minuscola: “Siamo in cinque: tre in campagna, una in ufficio e io che mi occupo di tutto”. Con la sua micro-cantina riesce ad esportare il 70 per cento di ciò che produce:
Frappato in purezza (“aspro e sanguigno, la sintesi della mia Sicilia”), Siccagno Nero d’Avola (“profumo che sa di vino in tutti i sensi”) e il blend di Nero d’Avola e Frappato che si chiama SP68 (“come la nostra provinciale, antica strada del vino”). Un successo che Veronelhi forse aveva previsto nella forza della passione di quella lettera.

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